di Paola Pirovano
Photocredit: ©Martina Bertola
L’ingresso della galleria W139 non si nota a primo impatto: schiacciato tra uno smart shop e l’ennesimo bar, niente lascia presagire cosa si celi dietro un portone anonimo al numero 139 di Warmoestraat. Eppure si tratta di una gemma di fama internazionale, uno degli ultimi luoghi avamposti di produzione artistica indipendente sopravvissuto alla commercializzazione di Amsterdam.
W139 è un ex teatro, occupato negli anni ’70, quando il centro era terra di nessuno: Warmoestraat era considerata una strada pericolosa, popolata da sbandati e spacciatori. I cinque artisti all’origine di quest’avventura desideravano costruire un luogo dove esporre le loro opere proponendo un modello alternativo al sistema delle istituzioni e delle gallerie commerciali.
Un’ambizione che è ancora presente oggi, in quello che è diventato una piattaforma artistica professionale ma non istituzionalizzata, la galleria W139 appunto.
Ancora oggi, al di fuori delle logiche di mercato, il gruppo che gestisce la galleria punta tutto sulla parola libertà. Diversamente da quanto accade nei luoghi più commerciali, gli artisti sono realmente al centro del processo di produzione e hanno carta bianca per quanto riguarda la creazione, ma anche la gestione delle risorse finanziare e la comunicazione.
W139 è un colletivo e crede fermamente nella forza del gruppo: questo significa che lo spazio è in mano a un team composto da una decina di persone, a cui si affiancano circa 20 artisti di varia provenienza. Questi ultimi sono all’origine della programmazione della galleria, ovviamente non da soli: a loro volta formano dei gruppi di artisti che sono chiamati a riflettere collettivamente a una mostra e agli eventi che l’accompagnano.
Il rischio gioca un ruolo importante in questo processo, gli artisti non sono selezionati sulla base del loro lavoro, ma piuttosto sulle intenzioni artistiche e dall’urgenza che ne scaturisce. Le opere sono ancora in una fase di riflessione, sono elaborate durante il processo di realizzazione della mostra, un rischio importante per la galleria, ma anche per l’artista, che si espone fatalmente alla possibilità di cambiamento e fallimento.
La maggior parte dei lavori sono prodotti specificatamente per gli spazi di W139, le cui dimensioni presentano un elemento di rischio in sé. Del teatro abbandonato e occupato nel 1979, la galleria conserva infatti le dimensioni monumentali, che costituiscono un elemento di sorpresa perché inimmaginabili in un quartiere dove il costo al metro quadrato ha raggiunto cifre da capogiro.
Gli artisti devono anche sapersi confrontare con gli altri; con il resto del gruppo – via l’ego e l’autopromozione, la galleria organizza solo mostre collettive – e con il pubblico. Conosciuto nel mondo dell’arte, W139 ha i suoi utenti abituali, ma è anche un luogo visitato dai turisti, spesso per caso. Il quartiere è oggi un’attrazione turistica, famoso per le vetrine e i coffeeshop, influisce sulle scelte formali degli artisti, che si devono confrontare con un’atmosfera visuale molto appariscente, commerciale, spesso cheap e invasiva.