“In Belgio, non è il governo federale ma sono le due regioni, Vlaanderen e Wallonie, ad essere responsabili in maniera indipendente del controllo su produzione e esportazione di armamenti.” dice Diederik Cops ricercatore presso il Vlaams Vredesinstituut un organo di consulenza del parlamento fiammingo in materia di commercio d’armi, sul portale Knack “Questa è una situazione unica. Tradizionalmente la politica sul commercio estero d’armi è parte della politica estera di uno stato e competenza del governo.” Non in Belgio.
In realtà, scrive ancora il ricercatore, gli stati membri dell’UE hanno un coordinamento per ciò che riguarda la vendita di armi a stati Extra UE ma tale politica comune, volta -soprattutto- al rispetto dei diritti umani e alla prevenzione dei conflitti, in diverse occasioni sarebbe stata superata da interessi individuali degli stati membri. In pratica, i regolamenti e la politica in materia di commercio di attrezzature militari sarebbero ben poco armonizzate. Anche laddove i criteri fossero ben chiari, ogni stato finisce poi per interpretarli in maniera abbastanza autonoma (o se si vuole, arbitraria).
Il (recente) passato, scrive ancora Cops, mostrerebbe come la cessione di sovranità in politica estera è ancora un tema delicato per l’Unione. E cita come esempio l’embargo sulla vendita di armi alla Siria: impossibile estenderlo perchè alcuni stati volevano continuare a rifornire di armamenti i ribelli.
Proseguendo con l’esempio della regione fiamminga, il ricercatore belga pone l’accento sul frame legislativo poco chiaro anche nel governo locale belga. Secondo Cops è necessaria una visione generale per armonizzare le politiche e vincolare le autorità a responsabilità etiche nelle esportazioni.