Da lunedì 12 agosto a domenica 8 settembre 2019, sarà visitabile all’Atrium Den Haag la mostra Tentoonstelling Naar Holland – Repatriëring, migratie of vlucht?
Il soggetto dell’esposizione? Migliaia di “indiani” olandesi. Secondo una stima del 2017, sono due milioni gli olandesi che hanno un rapporto di parentela con persone provenienti da India e Indonesia o che vi hanno vissuto in prima persona.
E questo perché tra il 1946 e il 1968, ben 330.000 persone si recarono in Olanda, come venivano comunemente chiamati i Paesi Bassi nelle colonie. Il primo gruppo ad arrivare in Olanda era costituito da “indiani” olandesi come Indos e Totoks; una seconda ondata era formata da olandesi che vivevano in India da generazioni; infine, anche se in numeri più piccoli, il terzo gruppo costituito da cinesi e malucchesi.
Tutti avevano nazionalità olandese e parlavano olandese, quindi il loro arrivo è stato un rimpatrio a tutti gli effetti; molti tuttavia conoscevano i Paesi Bassi solo dalle lezioni di storia e geografia a scuola.
Infatti, lingua e cittadinanza non implicano necessariamente il senso di appartenenza a una nazione, anzi, l’adattamento non è sempre facile.
Le difficoltà sul mercato del lavoro e delle abitazioni, e quindi anche discriminazione dovuta al colore della pelle divennero, purtroppo, all’ordine del giorno.
La mostra avrà luogo anche il 15 agosto, giorno della Commemorazione Nazionale. Proprio in questa data, la Seconda Guerra Mondiale ufficialmente terminò per il Regno dei Paesi Bassi; e ogni anno, al monumento Indisch di Den Haag, vengono commemorate tutte le vittime dell’occupazione giapponese delle Indie orientali olandesi.
La fondazione Atrium City Hall organizza attività culturali, educative e sociali per residenti e visitatori fin dal 1995. L’obiettivo è quello di dare ai visitatori un’idea di tutto ciò che accade a Den Haag e non solo. L’architetto Richard Meier ha progettato la struttura, dove regna il colore bianco, simbolo di chiarezza spaziale, purezza e perfezione; non a caso i residenti lo chiamano anche “Palazzo di ghiaccio”. Potrebbe sembrare monotono, mentre in realtà sono le persone a colorare l’ambiente, che vuole essere aperto, accogliente e dinamico.
Inoltre, la luce naturale gioca un ruolo importante nell’edificio: entra da tutti i lati, ma soprattutto attraverso il tetto di vetro. Grazie a questo espediente, sembra essere riflessa all’infinito dal bianco monastico dello spazio interno.
E non è solo un’opera di design: qui si trovano gli uffici per i rapporti con il pubblico, lo sportello della reception, gli affari sociali e l’ufficio comunale della città.