Due scrittori americani – Steven Naifeh e Gregory White Smith – pubblicano nel 2011 una biografia sull’artista, sostenendo che in realtà Van Gogh non si sia suicidato, ma sia stato ucciso. Secondo la ricostruzione degli scrittori, sarebbe stato ferito all’addome il 27 luglio 1890 dal sedicenne René Secrétan – un ragazzo in visita ad Auvers-sur-Oise che qualche giorno prima aveva provocato l’artista. Dopo aver subito il colpo, Van Gogh riuscì ad arrivare alla sua locanda, morendo due giorni dopo a causa delle ferite.
La teoria dei due scrittori si basa su un’intervista rilasciata proprio da Secrétan nel 1957, pochi mesi prima della sua morte, e soprattutto dall’interpretazione che i due autori ne fanno. Ma è andata davvero così? O si tratta di uno tanti miti intorno alla vita straordinaria di Van Gogh, che da sempre suscita tanto interesse quanto la sua arte?
A ben vedere, tutti gli indizi suggeriscono che quello dell’artista fu un vero e proprio suicidio. Secondo l’esperto Martin Bailey – che scrive su The Art Newspaper – ci sono molte buone ragioni per crederlo.
I pareri di chi era presente
Il medico di Van Gogh, Paul Gachet, aveva ispezionato personalmente la ferita. Fu lui ad avvisare il fratello Theo dell’accaduto. Se la dinamica non gli fosse stata chiara, non avrebbe mai lasciato cadere la questione. Inoltre dopo la morte dell’artista scrive di nuovo al fratello usando esplicitamente la parola suicidio.

Theo, vicinissimo al fratello, si precipitò al suo capezzale non appena gli arrivò la notizia. Restò con lui fino alla fine, conversando per 12 lunghe ore. Tre giorni dopo il decesso scrisse alla moglie che il fratello aveva trovato la pace che non era stato in grado di trovare sulla terra. Theo non avrebbe mai reagito così se avesse avuto anche solo il minimo sospetto che potesse trattarsi di omicidio.
Uno degli amici, Emile Bernard, aveva sperato di salvargli la vita, ma Vincent lo aveva avvertito: “allora dovrò farlo di nuovo£. Anche il critico Albert Aurier scrisse: “Si è ucciso. La domenica sera andò nelle campagne intorno ad Auvers, appoggiò il cavalletto contro un pagliaio, andò dietro il castello e sparò un colpo di pistola contro se stesso. (…) Vincent l’aveva fatto in completa lucidità, (…) con il desiderio di morire”.
Nel suo libro Avant et Après, Paul Gauguin scrisse che Van Gogh si è sparato allo stomaco. Sebbene Gauguin fosse in Bretagna in quel momento, rimase sempre in contatto con l’artista olandese. Gauguin conosceva bene Vincent e da quando la loro collaborazione ad Arles era terminata bruscamente per via dell’incidente all’orecchio, era fin troppo consapevole delle fragilità dell’amico.
Van Gogh, in punto di morte, aveva dichiarato alla polizia: “Quello che ho fatto non sono affari di nessuno. Sono libero di fare ciò che mi piace con il mio stesso corpo”. Se gli agenti avessero avuto dei sospetti, sicuramente avrebbero aperto delle indagini, invece non è mai stato trovato alcun fascicolo.
Henri Tessier, il prete cattolico di Auvers, si rifiutò di autorizzare il funerale nella sua Chiesa, perché suicida. Il fratello Theo fu pertanto costretto a modificare tutti gli inviti per le eseguie del fratello.
Il precedente tentativo di suicidio
Nel 1889, quattro mesi dopo aver mutilato il proprio orecchio, Vincent cercò inoltre di avvelenarsi mangiando le sue stesse vernici. Il fratello Theo era sempre stato il suo più stretto confidente e anche il suo più grande sostenitore, fornendogli regolarmente un assegno finanziario. Ma Theo si era recentemente sposato e aveva avuto un figlio. Vincent era quindi preoccupato che una moglie e un bambino avrebbero potuto comportare una perdita di gran parte del sostegno emotivo e finanziario del fratello. Era anche preoccupato per i recenti problemi economici di Theo.
René Secrétan, il presunto assassino, non ha mai confessato l’omicidio, anzi, afferma di aver lasciato la cittadina prima dell’accaduto. L’unica occasione in cui parlò pubblicamente di Van Gogh fu in un’intervista pubblicata sulla rivista Aesculape nel 1957, quando aveva 82 anni, pochi mesi prima della sua morte. Secrétan non ha mai detto di aver sparato, ma anzi ha dichiarato che Vincent era riuscito in qualche modo a prendere la sua pistola.
Anche se non c’è più modo di verificare le sue dichiarazioni, per quale ragione avrebbe rilasciato un’intervista auto-incriminante proprio qualche mese prima di morire, senza che nessuno avesse mai avuto alcun sospetto su di lui?
Il ritrovamento della pistola

Infine, la recente comparsa della pistola è un’ulteriore prova del suicidio. L’arma è stata esposta e venduta all’asta a Parigi per 162.500 euro. Fu ritrovata nel 1960 da un contadino, abbandonata esattamente nel campo in cui si ritiene che l’artista si sia sparato. Se si tratta davvero della pistola di Van Gogh, il fatto che sia stata gettata e non interrata suggerisce un suo abbandono e non la volontà di occultarla. Se fosse stato Secrétan a sparare il colpo fatale, sicuramente avrebbe nascosto l’arma, forse seppellendola in profondità o lanciandola nel fiume vicino.
Diversamente, se fosse stato Van Gogh a premere il grilletto, l’arma sarebbe immediatamente caduta a terra e lui con tutta probabilità non l’avrebbe spostata.
Alla fine dei conti, il gesto di Vincent è stato condannato dalla Chiesa, considerato sbagliato dalla società ma accettato da parenti e amici. È davvero possibile credere che l’amato fratello Theo non sospettasse nulla? E perchè Secrétan avrebbe dovuto compiere un gesto tanto grave nei confronti di quello che per lui era poco più di uno sconosciuto?
Probabilmente la risposta risiede nella reazione di Theo e nelle parole dense di affetto che scrisse alla moglie: “Vincent è riuscito a trovare la pace”.