“Una parte della nostra società, che ama presentarsi come moderna, femminista ed emancipata, ha un’ossessione morbosa per ciò che una donna musulmana fa o non può fare o può fare”, scrive la ricercatrice olandese Charifa Zemouri sul suo blog su Joop.
“Il velo è un capo di abbigliamento oggetto di molte polemiche. In Iran, le donne vengono arrestate per esserselo tolto mentre in Francia alle donne che lo indossano viene negato l’accesso all’istruzione. Le donne che professano l’Islam sono spesso ridotte solo al loro velo e sono viste come vittime, donne oppresse e solo allora come esseri umani”, scrive ancora la ricercatrice.
Quante domande fuori luogo, prive di sensibilità o intrise di bassa retorica vengono rivolte a donne musulmane? “A volte sembra che tu non possa mai farlo bene come donna musulmana. Le stesse persone che riducono le donne a un velo sono spesso le stesse che sottopongono una donna musulmana senza velo alla domanda: ‘dov’è il tuo velo?’. Sono una donna musulmana senza velo e mi viene chiesto da due lati dove sia il mio velo”, dice ancora la Zemouri.
Lo stesso gruppo a volte rimane sconcertato quando non rientri nella categoria della “donna musulmana oppressa”. E se da un lato c’è quella conservatrice che pretende di imporre il velo, c’è l’altra, quella femminista ed emancipata, che ha comunque un’ossessione morbosa per ciò che una donna musulmana fa o non può fare o può fare: “Questa ossessione può essere ascoltata in programmi radiofonici o vista in spettacoli televisivi, libri, cultura aziendale, politiche e campagne politiche. Spesso fa poca differenza se indossi o meno un velo. Una volta che alcuni sapranno che sei una donna musulmana, puoi contare sulle domande a venire. A volte le domande sono sincere, a volte puoi cercare su Google la risposta (no, non ci è concesso un sorso d’acqua durante il Ramadan!)”.
Tanto ai “fratelli” musulmani, quanto ai salvatori bianchi il messaggio rimane lo stesso: “per favore, lasciateci in pace”.