di Federico Campanile e Vittoria Malgioglio
https://www.flickr.com/photos/90987386@N05/, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons
Ad Amsterdam l’autunno mite sta lasciando il posto a pioggia e vento ma nonostante ciò le strade del quartiere Nieuwe Pijp rimangono gremite. Lungo le strade strette, in mezzo al mix di case olandesi da cartoline e bar portati dall’ondata di gentrificazione, trova posto anche un caratteristico ristorante uiguro: gli strumenti tradizionali affissi alle pareti, gli odori delle spezie che avvolgono la sala e una genuina convivialità raccontano una nazione, l’Est Turkestan, che per la comunità internazionale non esiste e per la Repubblica popolare cinese è la regione autonoma dello Xinjiang.
A causa delle politiche di controllo sociale perseguite dalle autorità di Pechino, le peculiarità culturali degli uiguri rappresentano un fattore di forte instabilità: la popolazione turcofona e musulmana organizzata su un modello tribale, è originaria del nord-ovest del paese. Il ristorante di Jordaan e gli altri luoghi che esprimono l’identità uigura, tra non molto, potrebbero essere tra le ultime testimonianze rimaste di quella cultura.
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Identità e sopravvivenza
Enver, redattore per l’Uyghur Times, è lontano migliaia di chilometri dalla sua terra e al sicuro nel ristorante di Amsterdam, può raccontare liberamente a 31mag del suo popolo, senza doversi guardare intorno. E può dare voce (in inglese) anche alla testimonianza di Obul Qasim: “lavoro presso il Centro di istruzione del Turkestan orientale a Zeist, fondato nel 2009”, dice Obul che lavora anche come tassista a Utrecht.
La sua organizzazione ha appena acquistato un nuovo edificio e scuole in quattro città olandesi frequentate dagli studenti durante i fine settimana e le vacanze: “Per la nostra comunità è fondamentale preservare l’identità che il governo cinese cerca in ogni modo di cancellare”, dice serio. Il problema di non disperdere le tradizioni è molto sentito dalle minoranze ma per gli uiguri è una questione di sopravvivenza: “ La Cina sta cercando di cancellare la nostra unicità, quindi nei Paesi Bassi, dove siamo liberi, cerchiamo di tramandare ai nostri figli la lingua e le tradizioni del nostro popolo”. Enver e Obul raccontano che mogli e figli sono nei Paesi Bassi, ma che del resto delle famiglie non hanno notizie.
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In Europa la questione di quest’altro popolo senza Stato è sentita ma le loro rivendicazioni non hanno fatto breccia come quelle curda, sarawi o palestinese. Eppure i “campi di rieducazione” raccontati nel report del 2018 della Commissione ONU per l’eliminazione della discriminazione razziale, sarebbero veri e propri lager dove sono imprigionati circa un milione di uiguri. I campi sarebbero stati istituiti nel tentativo di assimilare la minoranza, di religione musulmana, nella multietnica nazione cinese. L’ONU si scomoda ma per Pechino il problema non sussiste: il governatore uiguro della regione Shohrat Zakir, descrive i campi come “centri di formazione professionale volontari”. I cinesi insistono: nessun tentativo di cancellare l’identità uigura, solo uno sforzo per combattere estremismo e separatismo.
Tra l’Islam e il nazionalismo di Erdogan
Obul è lontano da casa da molto tempo ed ha vissuto nello Yemen; poi dalla Turchia, meta popolare tra i membri della sua comunità, per via delle somiglianze linguistiche e per la fede comune nell’islam, è giunto nei Paesi Bassi. I rifugiati uiguri in Turchia sono circa 30.000, e i turchi si sono mobilitati spesso per la causa nonostante le pressioni cinesi abbiano convinto Ankara ad abbassare il profilo del suo sostegno.
“La lingua uigura è simile a quella turca, quindi è facile comunicare con i turchi,” dice Obul. In Cina, gli uiguri possono studiare solo mandarino quindi in pochi imparano l’inglese. “Una volta arrivati in Olanda, alcuni di noi riescono ad imparare l’olandese ed integrarsi, ma per molti la lingua rimane un ostacolo e quindi finiscono per interagire solo con i turchi.” Una necessità, più che una vera e propria prossimità culturale.
Ma non è solo una faccenda di politica internazionale: per Ankara la questione uigura rappresenta anche un problema interno. “Diversamente da quanto accade con i rifugiati siriani, la somiglianza culturale e linguistica tra la comunità autoctona turca e la minoranza uigura richiede al governo turco sforzi maggiori per sostenere le sue rivendicazioni nazionalistiche”, spiega a 31mag.nl Işık Kuşçu, Associate Professor presso la METU di Ankara. L’accademica turca si occupa di diaspore centroasiatiche e nel 2017 ha costruito un intrigante quadro sulla mobilitazione della diaspora uigura.
Nonostante il numero esiguo di migranti uiguri in Turchia, questa comunità può rappresentare un fattore interno di instabilità; a casa, così come nei Paesi Bassi e in Germania, i turchi tendono a marcare una linea distintiva tra loro e le altre popolazioni turcofone: “Il nazionalismo, come sta accadendo con i siriani che vivono in Turchia, gioca un ruolo centrale.
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“In Turchia,” dice ancora Işık Kuşçu, “la piattaforma che dà voce alle rivendicazioni degli Uiguri non viene sfruttata solo per ragioni politiche ma anche dalla comunità religiosa come esempio di repressione anti-islamica. Le autorità turche, in questo senso, cercano di giocare su due tavoli: “da un lato la Turchia non vuole creare tensioni con Pechino, dall’altro cerca di deviare le rivendicazioni su un terreno di fratellanza religiosa. Per questo, l’emigrazione degli uiguri verso l’Europa è un elemento positivo per la Turchia”, conclude Işık Kuşçu. Questa strategia machiavellica sembra finalizzata ad evitare pericolosi accostamenti etnici che potrebbero minare la propaganda nazionalista su cui Erdogan ha basato gran parte della sua attività politica.
Una diaspora politica
Nonostante le diffidenze nel paese della mezzaluna sarebbe proprio la radicata presenza della comunità turca in Germania e Paesi Bassi, secondo la docente, un fattore che spinge gli uiguri ad emigrare in questi paesi. “Sicuramente le due comunità sono a contatto. Sarebbe interessante studiare meglio le forme di interazione tra uiguri e turchi”. Il sempre più diffuso dibattito sui campi di rieducazione nello Xinjiang, inoltre, avrebbe portato ad un interesse di più ampia portata verso la diaspora uigura, afferma la prof.ssa Kuşçu. “Un numero crescente di uiguri è intenzionato a trasferirsi in Europa, quindi i governi hanno cominciato a porsi delle domande. Perché lasciano il loro paese? Dovremmo concedergli asilo politico?”

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Obul valuta positivamente l’atteggiamento del governo olandese verso il suo popolo: l’Olanda avrebbe sostenuto la loro causa con convinzione, soprattutto dopo il 2009. “Nel 2009, durante i tumulti di Ürümqi, il governo cinese ha ucciso migliaia di persone. Solo allora la nostra causa ha guadagnato notorietà agli occhi del mondo”. Enver si trovava ad Ürümqi in quei giorni e stava cercando di prendere suo fratello dalla stazione quando fiumi di cinesi Han hanno invaso le strade della città. La conseguenza immediata fu un aumento dei richiedenti asilo dal Turkestan orientale. La successiva repressione di Pechino ha ottenuto come conseguenza la ramificazione della diaspora uigura in numerose associazioni in tutto il mondo tra le quali il Congresso Mondiale degli Uiguri.
Come spiega Obul, “si tratta della prima associazione che riunisce e rappresenta tutta la comunità”. Il congresso è guidato da Dolkun Isa, fuggito dalla Cina sul finire degli anni ‘80 e oggi cittadino tedesco, di cui Obul racconta con rispetto: “Isa passa meno di quaranta giorni all’anno a casa propria e lavora giorno e notte per parlare degli uiguri a tutto il mondo”. Rebiya Kadeer -ex milionaria oggi residente negli USA -conosciuta come la madre spirituale degli uiguri– “è un’altra leader molto rispettata.”
La diaspora si starebbe progressivamente trasformando in un movimento meno elitario e più popolare, rispetto alla comunità delle origini e la partecipazione di chi è coinvolto nelle attività politiche sarebbe in crescita. “Molti uiguri hanno ancora parenti in Cina e sono preoccupati per la loro incolumità. Sebbene il più delle volte non siano attivi in politica, queste persone aiutano la loro gente tenendo corsi di lingua e sbrigando le procedure relative all’immigrazione” dice ancora Işık Kuşçu.
Gli uiguri si sentono presi in maggiore considerazione oggi, rispetto ai primi movimenti di rivendicazione nati in Turchia negli anni ’90. Complici sono l’avvento dell’informazione digitale che ha portato la questione sotto gli occhi di un pubblico più vasto, la ricettività crescente della società civile Europea, e l’apertura di piattaforme di discussione istituzionali da parte dei governi ai leader della diaspora. Ma dato il suo peso sul piano geopolitico e commerciale, la Cina non è un paese qualsiasi: se da una parte i governi adottano cautela nel muovere critiche alla superpotenza asiatica, dall’altra l’Unione Europea è particolarmente attiva nel promuovere i diritti umani.
Non vedo un reale interesse nella questione, per il rischio di andare ad incrinare il rapporto con un paese estremamente importante come la Cina”, dice Alessandra Cappelletti docente della Xi’an Jiaotong Liverpool University, “la causa uigura trova sostegno più su un piano politico che su quello istituzionale. In Europa ci sono certamente dei partiti che supportano la causa ma a livello di governi sarei meno convinta.” Sulla mozione mossa lo scorso luglio all’ONU da 22 paesi sulla violazione dei diritti umani in Xinjiang, la docente non vede una netta e sostanziale presa di posizione pro-uiguri: “Non mi sembrano argomenti di sostanza quelli contenuti nel testo.”, dice a 31mag. Inoltre, anche il fattore religioso gioca la sua parte: gli uiguri sono musulmani e molti governi occidentali, ragiona Cappelletti, potrebbero trovare sconveniente sostenere apertamente una minoranza islamica.
“Persecuzione”?

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L’esperta, inoltre, contesta lo stesso uso del termine “persecuzione”: “Ha senso parlare di persecuzione se la popolazione è all’interno del territorio cinese? Lo Xinjiang è un territorio annesso dalla Cina nel 1759 e quindi, per il diritto internazionale, parte del territorio della Repubblica popolare. Credo sia errato parlare di persecuzione, poiché le restrizioni religiose vengono applicate a tutta la popolazione cinese.” Per la docente italiana, i culti religiosi sono trattati tutti (duramente) nello stesso modo in Cina, indipendentemente dalle origini etniche. “Il caso lo creiamo noi, per Pechino gli uiguri sono cinesi come gli altri.”
Un’altra questione centrale è quella dell’unità della diaspora: esiste un nazionalismo uiguro? “Non si è mai formato un vero e proprio nazionalismo nell’est Turkestan; il senso di appartenenza uigura si sviluppa a livello locale con un forte attaccamento all’oasi.” Inoltre, tra gli uiguri possiamo vedere una diversità di riconoscimento del leader. “Rabiya Kader e Dolkun Isa sono molto litigiosi tra di loro, non sono uniti, non c’è una leadership, soprattutto per mancanza di pensatori e leader politici.”