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Tradotto in olandese ‘Sangue Giusto’ (De lange weg naar Rome), racconto sul passato coloniale che l’Italia vorrebbe dimenticare

di Serena Gandolfi

 

Addis Abeba” è un nome dal suono vagamente orientale, richiama sabbia e geografie lontane. “Possibile che da un posto simile arrivi quello che dice di essere mio nipote?” si chiede Ilaria. Gli controlla più volte la carta d’identità. Se l’è trovato davanti alla porta di casa: labbra violacee e gambe nere fini come cannucce. Ma il documento non mente: “Shimeta Ietmegeta Attilaprofeti” recita. Attila era il soprannome del padre di Ilaria e questo ragazzo sembra non scherzare affatto.

Si apre così De Lange Weg Naar Rome, (Sangue Giusto), il libro di Francesca Melandri tradotto in lingua olandese da Cossee edizioni. È l’ultimo capitolo della “trilogia dei padri” cominciata dalla scrittrice romana con Eva Dorme nel 2010 e proseguita con Più Altro del Mare nel 2012.

Ilaria Profeti, insegnante delle medie, un odio smodato per l’ipocrisia, è la protagonista del racconto. A 40 anni, sul pianerottolo di casa, scopre di avere un nipote etiope e che il padre, Attilio, non ha semplicemente servito il Fascio nella Campagna d’Abissinia, ma che lì ha letteralmente lasciato una parte di sé. Shimeta, ha attraversato il deserto, il Mediterraneo e il labirinto burocratico dell’accoglienza per giungere a Roma e riempire i silenzi che hanno da sempre avvolto la famiglia Profeti.

Immergendosi tra le pagine di Sangue Giusto ci si insinua in un capitolo della storia-patria tramandato sottovoce: il passato coloniale italiano. È un romanzo su quello che l’Italia vuole dimenticarsi di essere stata.  “La rimozione della memoria non è qualcosa di astratto” dice l’autrice a 31Mag, “è all’interno delle famiglie che si cementificano i silenzi. Ed era attraverso queste che volevo raccontare l’occupazione italiana in Etiopia e i suoi non-detti”.

Non potendo più fare affidamento sulla memoria di un padre troppo anziano, Ilaria comincia a indagare la storia di Attilio e quindi la sua. Il romanzo entra ed esce da piani temporali differenti, svelando i retroscena di una sgangherata, ma ordinaria famiglia. La storia della protagonista si intreccia con quella del padre, da sempre impegnato a nascondere con trucchi e peripezie il proprio passato.  Come lo descrive l’autrice: “Attilio Profeti non è un eroe partigiano e nemmeno un efferato criminale. È solo uno dei tanti “grigi” che fanno la storia”. Un “fascista educato che l’ha fatta franca”: dopo il 25 aprile, come tanti altri, semplicemente ha riposto la camicia nera e non ha mai dovuto dare spiegazioni delle proprie azioni.

Non sarà un processo di Norimberga a richiamare Attilio alle proprie responsabilità, ma il nipote Shimeta: uno dei tanti immigrati sbarcati sulle coste italiane.

Mai come in Sangue Giusto risulta chiaro che immigrazione e colonialismo sono solo capitoli differenti della stessa storia. La relazione concreta che lega Italia ed Etiopia si mostra nelle vicende dei figli e nei legami di sangue. Storie estromesse dai pranzi di famiglia che si riassumono nella frase di Tesfalem, compagno di viaggio di Shimeta: “Noi habesha dei talian sappiamo tante cose. Ma loro di noi non sanno nulla, neanche di quando c’erano anche loro”.

Sangue Giusto è un libro intenso e ricercato, per niente moralista. È valso la nomina al Premio Strega dell’autrice. Con questo romanzo Francesca Melandri ha sigillato un rapporto di stima con la critica olandese che per la terza volta ha tradotto un suo testo. È stata ospite nel mese di maggio ad Amsterdam, qui ha presentato il suo libro all’Istituto di Cultura e alla Libreria Athenaeum.

 

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