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Il Mauritshuis dell’Aia ha presentato i risultati di un importante studio – The Girl in the Spotlight – condotto sul famoso dipinto di Vermeer Ragazza col turbante, meglio conosciuto come Ragazza con l’orecchino di perla (Meisje met de parel).
Non è ancora chiaro chi sia la giovane ritratta ma, grazie all’approfondita ricerca sul quadro del 1665, i ricercatori del museo “pur non essendo riusciti a svelarne l’identità, ne sanno oggi qualcosa di più”, ricorda la direttrice Martine Gosselink.
Nel 2018 la “Monna Lisa olandese” è stata esaminata a fondo per due settimane con scanner e microscopi ad alta tecnologia da un team multidisciplinare di scienziati nelle gallerie del museo e i risultati sono stati pubblicati solo in questi giorni.
Il quadro era già stato restaurato per l’ultima volta nel 1994 ed era ancora in buone condizioni, ma poiché le tecniche di ricerca sono migliorate notevolmente negli ultimi 25 anni, il Mauritshuis ha pensato di riesaminare nuovamente l’opera.
Il mistero dello sfondo e delle ciglia
Una delle scoperte più sorprendenti è che lo sfondo non è solo uno spazio vuoto e buio. Vermeer ha dipinto la giovane davanti a una tenda verde, sbiadita nel corso dei secoli. Grazie alle nuove tecniche sono emersi alcuni impercettibili tratti e differenze di colore che ricordano il tessuto plissettato. Ciò non stupisce perché un simile tipo di tenda verde scuro è visibile in primo piano in altri dipinti di Vermeer.
Attraverso la scansione con la fluorescenza a raggi X, il team di ricerca ha anche scoperto che la ragazza aveva delle ciglia oggi non visibili a occhio nudo. Gli storici dell’arte hanno sempre pensato che non avesse né sopracciglia né ciglia. Ora, al microscopio digitale, sono stati effettivamente osservati piccoli peli attorno ad entrambi gli occhi, una leggera peluria scomparsa nel corso dei secoli.
Purtroppo non sono sopravvissuti studi preliminari o disegni del lavoro di Vermeer. “Si sa molto poco della sua giovinezza, del suo studio o di come ha imparato a dipingere“, afferma la restauratrice e responsabile della ricerca Abbie Vandivere. “Il modo migliore per avere un’idea più precisa dell’artista e del suo metodo di lavoro è quello di esaminare la tela, i pigmenti, la pittura a olio e altri materiali”.
Le modifiche in corso d’opera
Grazie alle immagini a infrarossi, le ampie e potenti pennellate con cui l’artista ha ritratto alcune ombre sono emerse dallo sfondo del dipinto. Vermeer ha definito i contorni della ragazza con sottili linee nere. Mentre dipingeva, hanno scoperto i ricercatori, l’artista ha apportato alcune modifiche alla composizione: la posizione dell’orecchio, la parte superiore del fazzoletto e il collo sono stati ripensati.
L’artista ha lavorato in modo molto sistematico: dopo aver dipinto lo sfondo verdastro e il volto della ragazza, è passato successivamente alla giacca gialla, al colletto bianco, al turbante e alla perla. Vermeer ha poi firmato la sua opera d’arte in alto a sinistra con IVMeer.
Qua e là alcune sottili setole di pennello sono rimaste imprigionate nella vernice.

La tavolozza dei colori di Vermeer
Il team ha stabilito inoltre che i pigmenti della vernice provengono da tutto il mondo. “Grazie alle relazioni commerciali internazionali della Compagnie delle Indie orientali (VOC) e occidentali (WIC), Vermeer ha potuto acquistare questi colori nella sua città natale di Delft”, racconta ancora Vandivere. L’artista ha selezionato con cura due pigmenti bianchi con diverse proprietà ottiche e resa cromatica per ottenere una sottile trasparenza e un passaggio senza soluzione di continuità dalla luce all’ombra nella pelle della ragazza e nel bianco della perla.
Le labbra rosse della ragazza, invece, sono realizzate con la polvere di insetti macinati che vivevano sui cactus in Messico e in Sud America.
Un blu più costoso dell’oro
Le materie prime per i colori sono originari di regioni che oggi appartengono al Messico e all’America Centrale e ieri all’Inghilterra, all’Asia o alle Indie Occidentali. Colpisce l’uso che Vermeer fa del blu ultramarino nel foulard e nella giacca realizzato con lapislazzuli di pietre preziose provenienti dall’attuale Afghanistan. Nel XVII secolo il pigmento era più pregiato dell’oro. Secondo il team di ricerca, la pietra potrebbe essere stata prima riscaldata a una temperatura elevata, cosa che avrebbe reso più facile la macinazione e prodotto un colore blu ancora più intenso.
“Il nostro progetto ci ha portato più vicini che mai a Vermeer e alla ragazza”, ammette la restauratrice Abbie Vandivere. “La capacità di confrontare i terabyte di dati dei vari studi tecnici ha prodotto molto di più che se avessimo utilizzato una sola tecnologia. Il dipinto è un’immagine più personale di quanto pensassimo“.