STORIE Eindhoven, Smart city o No city?

di Marco Bevolo

Nel 1885, Vincent van Gogh dipinse il suo capolavoro pre-francese, “I mangiatori di patate”, a Neunen, nel Noord Brabant. Il quadro rappresenta una famiglia contadina, forse i De Groot, ad una mesta mensa il cui desco appare solo coperto di tuberi e grigiore: tanto basta a descrivere Eindhoven ed i paesi limitrofi prima dell’avvento della Philips. Pur avendo dignita urbana dal 1232, nel 1885 Eindhoven come la conosciamo oggi, quinta città’ del Regno e perla di High Tech e design, ancora non esisteva; poi arrivò la Philips e nulla fu più come prima.

ASCESA E DECLINO

L’area rurale divenne agglomerato urbano e il modello modello paternalistico, inteso nel migliore dei sensi, implementato da generazioni della famiglia Philips, a metà strada tra la FIAT di Valletta e l’Olivetti di Ivrea fu uno straordinario volano economico e sociale per l’area. Fino al 1976, quando l’amatissimo Frits Philips ha lasciato il board, la famiglia ha tutelato gli interessi cittadini e dei cittadini, dividendosi persino durante la II Guerra tra gli Stati Uniti e l’Olanda occupata, dove la ditta lavorava -costretta a viva forza- su commissioni dell’occupante. Una lunga storia che si lascia alle spalle un club calcistico di eccellenza, il PSV Eindhoven, una serie di pezzi notevoli d’archeologia industriale, prima malamente conservati ed ora riqualificati e in processo di gentrificazione, e una mentalità divisa tra l’esplorazione scientifica e l’impresacommerciale. 

Nel 1990, la Philips è ad un passo dalla banca rotta: il piano di ristrutturazione Centurion fu una vera e propria mattanza sociale . Ma la caduta ha solo anticipato l’impatto al suolo e relativo shock: nel 1997 arriva il colpo di grazia con lo spostamento degli headquarter ad Amsterdam, per attirare talento internazionale. E il talento internazionale ne poteva aver ben donde, in quel periodo, di investire il proprio tempo ad Eindhoven, in quanto cittadina pulitaordinataefficiente, con una vita sociale lenta ed un’ambizione generale malcelata dall’atavica modestia del tecnico e dell’ingegnere, piu’ “nerd” geniale che businessman dotato di savoir faire da jet setter. Nondimeno, un certo fascino veniva proprio da questa relativa modestia, da questa misura generale, da una attenzione a non esibire tracotanza o eccessi di orgoglio.

LA CITTA’ DEL FUTURO

Nel nuovo millennio, Eindhoven rinasce e cambia pelle: abbraccia il design, crea un fitto calendario di eventi tematici a forte impatto e si butta nel business nascente delle “start up”, preferibilmente ad alto contenuto tecnologico. Sul design, la Technical University e la Design Academy, quest’ultima già resa internazionalmente celebre da Lidewij Edelkoort e dal boom generale del Dutch Design, si spartiscono i ruoli, con la TU focalizzata su sistemi informatici ed ingegneria, e l’accademia piu’ vicina al mondo delle gallerie, dei musei e dei pezzi unici da collezione. E poi la Dutch Design Week, nel network di 100% Design London e delle gemelle di Helsinki, Istanbul e Belgrado, il GLOW, il festival della Light Art di novembre, con punte di un quarto di milione di visitatori nei suoi 10 giorni di installazione in città. Si mantiene alto il livello di sperimentazione, anche se con risultati alterni, di eventi come STRP Biennale (arte e tecnologia). In ultimo, nel terreno ove sorgeva l’enclave di ricerca scientifica di Philips viene realizzato l’High Tech Campus, gioiello di landscape design (firmato West8, Amsterdam) e sede di piu’ di 100 imprese, dai giganti Philips e ASML a Shapeways ed ECM Labs.

La realizzazione di torri grattacielo e di ambiziosi edifici, a firma di Jo Cohen o Massimiliano Fuksas, ha trasformato radicalmente il centro città, che ora ostenta un maquillage internazionale d’alta moda, per quanto poco originale, in un mix di planning architettonico di dubbio gusto. I secondi posti ottenuti brillantemente nel 2010 per il titolo di World Design Capital 2012 (andata a Helsinki) e molto mestamente nel 2013 per il titolo di European Capital of Culture 2019 (andato a Leeuwarden) non hanno invece lasciato il segno. Non sono neppure stati motivi di riflessione su un possibile futuro diverso. Eindhoven e’ oggi posizionata come un hub high tech internazionale, capace di attrarre talento e business – mentre prosegue a ritmo serrato la digitalizzazione in Smart City, i dubbi sembrano appartenere ad un’altra epoca. Eppure, non tutto oro è ciò che luccica: mentre Eindhoven si riposizionava come “knowledge center” intercontinentale per attrarre “expat” da mezzo mondo, il fabbisogno della Food Bank locale si moltiplicava, mostrando anche il lato buio della vivace High-Tech-city: sempre più scintillante fuori e sempre più diseguale al proprio interno, come il resto del paese.

BELLA SENZ’ANIMA

Una città’ pianificata oggi come 100 anni fa intorno al lavoro avrebbe bisogno di adeguati interventi a sostegno delle fasce escluse dal benessere: di questi temi, si parla poco e perlopiù nei concept degli studenti di social design. Il motore di Eindhoven è l’innovazione ma una città non può prescindere dalla politica: nel complesso di politecnico ed istituti a forte contenuto didattico, manca una vera voce critica dal punto di vista accademico. Il ruolo di bastian contrario, viene sostanzialmente lasciato al Van Abbemuseum, pilastro internazionale dell’arte contemporanea d’avanguardia critica, che quasi in solitudine rappresenta istanze del mondo “altro” (America Latina, Medio Oriente, Est Europa) con modalità eterogenee rispetto alle grammatiche del design funzionale o concettuale. Una citta’ cresciuta stretta stretta intorno ad una multinazionale di scienziati ed ingegneri, modesti ma pionieri, capitalisti ma con forte spirito sociale, si ritrova oggi sotto i riflettori con strategie di marketing altisonanti, e non bada ad evitare il rischio di nascondere la polvere sotto i tappeti.

A Neunen ed Eindhoven, sulla pista ciclabile onnipresente, il designer di grido Daan Rosegaarde, ha inaugurato lo scorso ottobre una sua installazione con cui la fosforescenza del bitume riproduce i folli incanti delle stelle provenzali di Van Gogh. A specchiarsi nel cielo d’Olanda, rimane questo gesto scaltro, non per nulla subito adottato dal city marketing come ennesima tessera nel mosaico di un discorso promozionale a tratti parossistico

Ai cittadini di Eindhoven, soprattutto se anziani o invalidi o ai margini del boom High Tech, rimangono i servizi tradizionali del welfare olandese, sempre piu’ erosi dalle politiche nazionali. Nel mezzo, la città che non era, oggi potente zenith del neoliberismo applicato allo sviluppo urbano, si interroga sul suo futuro: sara’ Smart City o la tecnologia digitale e le fanfare comunali non le impediranno di tornare una No City, questa volta divisa dall’economia e dalla polarizzazione degli stili di vita tra expat e residenti?

Marco Bevolo (1967) è accademico, consulente d’impresa e scrittore. Vive ad Eindhoven dagli anni ’90. Ex direttore di Philips Design Nederland, si occupa di urbanistica, cultura e design. Nel 2014, ha pubblicato insieme a Tapio Rosenius,  “Create the Livable City: city. People. Light”

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