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Sludge Fields: quel che resta dell’ADM un anno e mezzo dopo lo sgombero

di Annalisa Demarch

Dopo lo sgombero del 2019, i residenti dell’ADM, Amsterdamse Droogdok Maatschappij  – l’ultimo spazio autonomo occupato dalla fine degli anni ‘90 – si sono trasferiti negli Sludge Fields, un’area ad Amsterdam Noord concordata col comune. Oggi, però, il futuro della comunità è sempre più incerto.

Dopo lo sgombero del gennaio 2019, la comunità si è spaccata. Dei 125 “Amsterdamse Dry Dock People”, 60 hanno deciso di “ricominciare tutto daccapo” come una nuovo collettivo, i Slibvelden. 

I territori dove si è stabilito il nuovo nuovo sono chiamati “the Sludge Fields(campi di fango): coprono circa 300 per 300 metri e da decenni vengono utilizzati per gli sversamenti industriali. Tra gli anni ’30 e ’50 infatti il terreno è stato usato come discarica per i residui fangosi provenienti dai bacini idrici che servivano per la purificazione dell’acqua. Nonostante la costruzione di un depuratore, l’area è stata completamente dismessa negli anni ’90.

A causa della sua potenziale tossicità, su quella porzione di terreno, incolta da 15 anni, oggi non è permesso vivere secondo i piani urbanistici (Structuurvisie). Secondo le analisi fatte fare dagli stessi residenti, nei 50 centimetri di terra mista a pacciame che il comune ha fatto aggiungere, ci sarebbero molti elementi inquinanti

Per capire cosa è successo nell’ultimo anno e mezzo e cosa succederà nel futuro, abbiamo fatto quattro chiacchiere con Berk Uhm, residente nei nuovi spazi e storico attivista dell’ADM.

Cosa vuol dire vivere negli Sludge Fields?

Gli ADMers hanno “ufficialmente occupato” gli Sludge Fields a gennaio 2019, anche se alcuni membri della comunità erano già sul posto. “C’erano già alcune persone che vivevano negli Sludge Fields poco prima dello sfratto – persone che hanno portato qui  i loro carri, gli alloggi e tutto quello che serviva per preparare l’area”, afferma Berk. “La comunità sapeva, almeno in una certa misura, che lo sgombero sarebbe arrivato prima o poi. Quindi abbiamo avviato un complesso piano logistico per riuscire a spostare tutto”.

Siccome non si può coltivare la terra negli Sludge Fields, il collettivo ha trasportato “più di 130 metri cubi di terreno” dall’ADM, spiega Berk, per poter iniziare a coltivare ed essere autosufficienti. Ma non a tutto c’è stata una soluzione: i residenti che vivevano nelle houseboat nel vecchio spazio non hanno potuto trasferirsi per la mancanza di canali o altre zone adatte. 

Nonostante le difficoltà, ora il posto assomiglia a quello che era la storica sede dell’ADM: c’è una cucina comune, un giardino, uno spazio sociale aperto a tutti, eventi pubblici. Eppure non è destinato a durare ancora molto.

Certo è che il terreno concesso dalla municipalità di Amsterdam è sempre stata una soluzione temporanea. Il gruppo infatti deve evacuare l’area entro il 1 novembre 2020. Sebbene l’occupazione del terreno sia iniziato il 7 gennaio 2019, il permesso temporaneo di 2 anni era già entrato in vigore il 1 novembre 2018. 

Cosa è cambiato agli occhi del comune?

Gli Amsterdam Dry Dock People, ora definiti “Slibvelders”, non sono più trattati giuridicamente come un collettivo ma come singoli individui di fronte alla legge. “Individui senza un lavoro stabile, senza un contratto d’affitto, alcuni con problemi psicologici”, fa notare Berk.

La questione è fondamentale: nel corso degli anni gli attivisti e residenti hanno lavorato insieme a diversi progetti, creando un fortissimo senso di comunitàAncora oggi, nonostante le difficoltà del nuovo spazio, si continuano a organizzare negli Sludge Fields feste, concerti, workshop e iniziative eco-sostenibili.

Agli occhi del comune, però, il valore del collettivo sembra passare inosservato. Per di più, la municipalità di Amsterdam accusa l’ADM di non essere sufficientemente diversificata e inclusiva. Accuse pretestuose per gli ADMers con cui il comune di Amsterdam rischierebbe invece una sorta di profilazione etnica, ignorando la ricchezza sociale e culturale che il collettivo offre da sempre. 

Cosa succederà dopo il 1 novembre 2020?

Ad oggi sembra che non ci sia una soluzione abitativa per il collettivo e che nessun altra alternativa sia percorribile. Il responsabile del Team Stad (il gruppo che si occupa della politica dello spazio libero, “Free Space Policy”) Enno Ebels afferma che gli assessori hanno concordato un nuovo free-space ad Amsterdam, che sarà realizzato in due o tre anni.

Tuttavia, questa decisione semplicemente rimanda il problema al futuro. Non ci sono piani per un’alternativa sostenibile, o comunque disponibile subito dopo l’evacuazione dai “campi di fango”. Finchè il nuovo spazio libero non sarà pronto, i residenti rischiano di non sapere dove andare. 

Nel tempo i residenti dell’ADM hanno proposto ben 22 sedi. Il comune di Amsterdam non ha finora accettato nessuno di quei posti. 

La comunità ADM ha recentemente avuto un incontro con la presidentessa del distretto urbano, Erna Berends, e altri funzionari. Berends si è rivelata coerente, secondo uno dei membri dell’ADM, Hay Schoolmeesters. “Secondo le autorità l’accordo è sempre stato: andarsene il 1 novembre 2020. In caso contrario, il comune imporrà lo sfratto”, così come è successo nel 2019 con la sede originaria dell’ADM. 

Entrambi i due residenti dell’ADM, Hay e Berk, accusano la municipalità di Amsterdam di ipocrisia. “Benché il comune dica che vuole favorire le zone franche, contemporaneamente applica una politica che mira alla distruzione di queste aree”, ha raccontato Hay ad Amsterdam Alternative (AA).

Sebbene la mancanza di alternative possa sembrare essere il colpo finale per la comunità, Berk afferma che “la comunità è pronta, qualsiasi cosa succeda”. 

I residenti sono convinti che lo spirito della comunità sia forte, e che i 60 membri si sono addirittura riavvicinati in questo periodo. Insieme si stanno battendo per ottenere un luogo sostenibile, basato sui valori autentici, mosso dalla creatività. “I nostri piani si adattano alle politiche eco-sostenibili, alla ricerca di più verde. Contrastiamo l’ipertrofia capitalista nelle città a favore invece di una maggiore diversità culturale e sociale”. 

Al momento la richiesta del gruppo è quella di avere tempo per organizzarsi. Proprio come è successo nei vecchi spazi, anche negli Sludge Fields non ci sono piani di intervento immediati e probabilmente l’area resterebbe abbandonata per anni. Ma 3 o 4 anni, ricorda Hay, sono un tempo vitale alla comunità per programmare la sua stessa sopravvivenza e concordare con il comune un nuovo spazio dove continuare a vivere.

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