di Riccardo Aulico
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Il governo ha di recente ammesso la presenza della mafia italiana su suolo olandese, annunciando la costituzione di un nucleo specializzato nella lotta a Cosa nostra e alle ‘Ndrine espatriate nella terra dei tulipani. Questa novità ha acceso ancora una volta i riflettori sulla questione dell’incidenza delle mafie italiane nelle economie di altri paesi.
Il tema non è nuovo ed è stato oggetto in passato di diverse indagini e di inchieste giornalistiche ma solo con i fatti di Duisburg del 2007 la preoccupazione per l’infiltrazione mafiosa anche in territori lontani dalla Penisola ha avviato un dibattito nella società civile tedesca.
Il 15 agosto del 2007, nell’anonima provincia occidentale tedesca del Rhine-Westphalia, stretta tra Dusseldorf e la frontiera olandese, si consumò un regolamento di conti tra affiliati delle ‘ndrine calabresi dei Nirta e degli Strangio: 6 uomini del clan dei Pelle-Vottari vennero freddati in una resa dei conti che ha segnato la storia della cosiddetta Faida di San Luca. Giovanni Strangio e il fratello Francesco Romeo vennero arrestati a Diemen, centro alle porte di Amsterdam.
In seguito a questo evento nacque il primo movimento anti-mafia oltre confine denominato Mafia? Nein Danke! Associazione costituita a partire da un’idea della parlamentare Laura Garavini, l’organizzazione si occupa dal 2010 di studiare il fenomeno mafioso italiano in Germania e di sensibilizzare la popolazione e le istituzioni.
Presidente e volto dell’associazione -con sede a Berlino -è Sandro Mattioli, giornalista italo-tedesco
Mattioli, quali sono i vostri obiettivi e i risultati raccolti finora dall’attività di “Mafia? Nein, Danke!”?
“Il nucleo iniziale si è formato a partire dall’iniziativa di alcuni ristoratori italiani e tedeschi di Berlino preoccupati di prendere le distanze dai fatti di Duisburg [uno degli uomini uccisi nella faida era proprietario di un ristorante, ndr.] Pochi mesi dopo la strage, infatti, quei ristoratori avevano ricevuto richieste di pizzo ed hanno deciso di collaborare con le autorità per stroncare la piaga delle estorsioni.
La nostra è una NGO che promuove la cultura anti-mafia; cerchiamo di sensibilizzare la popolazione e le istituzioni sulla reale minaccia mafiosa attraverso conferenze, workshop o attività di lobbying. In Germania, così come in altri paesi del Nord-Europa, il reato di associazione mafiosa non è ben definito dall’ordinamento come lo è in Italia. Per questa ragione, spesso ci ritroviamo ad analizzare carte processuali per mappare tutti gli eventi riconducibili al fenomeno mafioso ed offrire cosi una statistica il più fedele possibile”.
Introdurre nell’ordinamento il reato di associazione mafiosa è il primo passo?
“Mi auguro che il reato venga riconosciuto, in Germania così come a livello europeo, il prima possibile. Le mafie, e non solo quella italiana, hanno da tempo internazionalizzato il loro raggio d’azione. Pensa che in Germania, negli ultimi 10 anni sono stati sequestrati appena 5 milioni di euro riconducibili ad attività o patrimoni mafiosi. Chi conosce i numeri e l’indotto generato dalle mafie italiane capisce che si tratta di una cifra irrisoria. Questa scarsa preparazione istituzionale è però dovuta anche a fattori culturali. In Germania, per esempio, il reato di associazione a delinquere è stato cancellato dall’ordinamento dopo il nazismo perchè strumento abusato dal regime.
Tuttavia il 12 luglio il ministro della giustizia ha annunciato un cambio nella legislazione che permetterà di procedere giuridicamente verso chi fa parte di un’organizzazione criminale strutturata senza la necessità di individuare la flagranza in altri reati come l’estorsione o lo spaccio di droga”.
La mafia italiana all’estero è strutturata come in Italia?
“Le mafie sono in grado di adattarsi e di cambiare la propria struttura in base al contesto. Non si finisce mai di imparare sul loro funzionamento, anche al di fuori dell’Italia. La Germania, così come altri paesi del Nord-Europa, è vista come una provincia e quindi molte strutture conosciute in Italia vengono replicate, ma ci sono anche delle dinamiche che non possono essere spiegate prendendo solo come punto di riferimento l’esperienza italiana. Ad esempio, in Italia il nucleo principale su cui si costituisce il tessuto sociale è la famiglia, in Germania è l’individuo. Questo ha una notevole ripercussione anche nelle dinamiche mafiose. Parliamo anche di codici culturali diversi che non possono che influenzare il funzionamento del crimine organizzato”.
Ci sono dei settori produttivi o dei contesti sociali in cui la mafia ha maggiormente attecchito ed è più attiva?
“Il traffico di droga è la principale attività. Ma è possibile ritrovare tracce di infiltrazione mafiosa anche nella ristorazione, nel mondo finanziario e nel settore edile. In Italia la mafia è nata in contrapposizione allo stato e soprattutto tra le fasce più povere della popolazione. Qui non è così: l’epoca storica è diversa rispetto a quella di prima formazione del fenomeno mafioso e allo stesso tempo la criminalità italiana non sente il bisogno di legarsi troppo al tessuto sociale. Nonostante questo è possibile affermare che le mafie italiane qui prediligono i piccoli centri rispetto alle grandi città dove c’è maggiore concorrenza”.
Che percezione hanno le autorità tedesche della mafia italiana che opera in Germania?
“Sicuramente non una percezione precisa. I fatti di Duisburg sono stati visti come una faccenda tra italiani. Come detto in precedenza le mafie si trasformano, il pizzo, il racket e il traffico di droga sono ormai solo la punta dell’iceberg del loro indotto economico. Tecniche investigative moderne come l’infiltrazione non vengono neanche considerate. La percezione diffusa non è ancora ampia, i tedeschi non credono che la mafia sia un problema che li riguarda”.
Una delle vostre principali attività consiste nello studiare il fenomeno mafioso italiano in un altro contesto territoriale. Interagite con le istituzioni tedesche?
“Le collaborazioni che abbiamo avviato finora con le istituzioni nascono su una base progettuale. Abbiamo anche dei rapporti stabili con diverse forze politiche, con le scuole, con le forze dell’ordine”.
L’Olanda ha da poco annunciato la costituzione di un nucleo speciale per il crimine organizzato italiano. In Germania esiste già un ufficio con queste mansioni? Se si, che tipo di lavoro svolge?
“La mafia investe tantissimo all’estero e continuerà a farlo, quindi è giusto che si vada in questa direzione. Gli ambienti legislativi e il background culturale permettono alle mafie italiane di potersi muoversi quasi indisturbate. Nel Nord-Europa le mafie italiane trovano terreno fertile sia per l’ambiente legislativo che per il contesto culturale. Esistono diversi tipi di polizia e di uffici dedicati alla lotta alla criminalità organizzata. Poi esistono forme di collaborazione tra le diverse forze di polizia (Centrale, locale e specializzata). Il Dipartimento della polizia BKA è un nucleo di investigatori specializzati nella criminalità italiana”.
Le autorità olandese hanno riconosciuto, per la prima volta, l’esistenza del fenomeno mafioso nei Paesi Bassi. Avete intenzione di estendere la vostra esperienza anche qui?
“Ci piacerebbe molto, ma siamo un piccolo gruppo che cerca di fare quel che può con risorse limitate. Crediamo fortemente nell’internazionalizzazione dell’antimafia e collaboriamo già con gruppi internazionali che si sono associati a Libera. Non escludo, però, che qualcosa di simile alla nostra esperienza possa nascere anche in Olanda”.