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Sandro Mattioli (Mafia? Nein Danke): a capo dei clan all’estero, italiani di seconda generazione. E’ un salto di qualità per la ‘ndrangheta

di Riccardo Aulico

 

L’operazione Pollino, considerata ad oggi la più grande all’estero contro la ‘ndrangheta, ha avuto il suo cuore nel Benelux e in Germania.

“Per me che la ‘ndrangheta fosse in Germania non è una notizia. Ma questa operazione è il segnale che qualcosa negli ultimi tempi si è mosso. Prima raid di queste dimensioni avevano cadenza molto irregolare mentre di recente sono aumentati in maniera sostanziale. Certamente è un buon segno”, dice al telefono Sandro Mattioli, giornalista italo-tedesco, contattato da 31mag.

Mattioli è il volto internazionale della lotta alle organizzazioni criminali italiane all’estero e con la sua associazione Mafia? Nein Danke!  costituita a partire da un’idea della parlamentare Laura Garavini, si occupa dal 2010 di studiare il fenomeno mafioso italiano in Germania e di sensibilizzare la popolazione e le istituzioni.

Sandro Mattioli, qual è l’importanza di questa operazione nell’orizzonte della lotta alla criminalità organizzata italiana in Europa?

Ciò che ha colpito maggiormente è che in manette non sono finiti solo italiani ma anche cittadini di altre nazionalità. In Germania sono stati arrestati criminali afferenti alla mafia turca e albanese, a conferma che la rete della ‘ndrangheta si è espansa. Questi arresti mostrano -inoltre- che la mafia opera in diversi paesi, muovendosi tra Germania, Olanda e Belgio, come se si muovesse nello stesso territorio. Per questo l’attività nazionale non può più funzionare.

Nella nostra intervista dello scorso anno, sottolineavi come i 5 milioni sequestrati alle mafie in Germania siano, in realtà, nulla rispetto al patrimonio dell’organizzazione. Nel corso dell’operazione Pollino, sono stati sequestrati appena due milioni in beni e asset: la tua tesi è confermata?

Per renderti conto del volume di affari, solo nel 2017 sono state confiscate in Germania 7 tonnellate di cocaina. Non tutta la droga è della ‘ndrangheta ma il valore commerciale di quei sequestri è di circa 2 miliardi di euro. Se consideriamo che le forze dell’ordine intercettano solo una minima parte dei carichi possiamo concludere che i 2 milioni confiscati ieri rappresentano si un miglioramento ma pur sempre una cifra modesta.

Possiamo definire la Pollino, la più grande operazione anti-mafia all’estero di sempre?

Non saprei dire se è la più grande ma dal numero di arresti potrebbe esserlo. Ciò che mi interessa di più, indipendentemente dai numeri, è che per la seconda volta -già era successo al termine dell’operazione Stige- sono stati arrestati boss della ‘ndrangheta nati e cresciuti all’estero. Non si tratta di un fenomeno da sottovalutare perché ha e avrà delle conseguenze anche nelle dinamiche stesse dei clan. E’ il caso degli appartenenti al clan Farao che in Germania sono in tutto e per tutto nel loro paese.

L’Europa, e l’estero in generale, insomma, non sono più periferia rispetto ad un centro di attività criminali che si svolgono in Italia.

Il pentito Luigi Buonaventura mi diceva già nel 2012 che la Germania è considerata dai clan come una provincia per le loro attività. Ciò significa che la stessa lotta alla mafia deve essere ripensata: in nord Italia c’è voluto tempo per accettare che si trattasse di un fenomeno che riguardava tutta la Penisola, così è ora di accettare che si tratta di un fenomeno che riguarda tutta Europa. Trovo assurdo che i Paesi del Continente lascino fare tutto il lavoro alle Procure italiane: tutte le inchieste sono partite dall’Italia e i successi sono stati possibili perché in Italia esiste il reato di associazione mafiosa, assente negli altri ordinamenti.

Nella nostra intervista dello scorso anno, lamentavi l’assenza nel codice penale tedesco di strumenti legislativi adeguati a combattere il fenomeno mafioso. E’ cambiato qualcosa di recente?

Qualche piccolo aggiustamento legislativo c’è stato, tra i quali una normativa sulla confisca dei beni, ma nulla di rilevante. E’ cambiata certamente la percezione del fenomeno: a Berlino c’è finalmente consapevolezza degli investimenti dei clan, soprattutto nel settore immobiliare, ma la strada è ancora lunga. Con la mia associazione, Mafia Nein Danke, stiamo facendo una lobby pressante per cercare di migliorare la situazione. Ma la strada è ancora lunga.

Tornando all’operazione Pollino, un punto rilevante è che è stata originata dalle confessioni di un “pentito expat”, Giuseppe T., un affiliato dei clan che ha vissuto in Olanda per 10 anni. Quanto è importante questo aspetto?

Certamente mette in rilievo quanto possa essere centrale il ruolo dei collaboratori di giustizia. Il problema, anche in questo caso, è che nessun ordinamento è solido -per ciò che riguarda la criminalità- come quello italiano quindi la polizia europea deve appoggiarsi all’Italia.

Inoltre c’è un problema culturale: qui in Germania gli agenti non hanno esperienza con la cultura mafiosa e spesso non conoscono codici e linguaggio di quel mondo; non riescono, quindi, a costruire il giusto livello di fiducia con i pentiti.

Stampa tedesca e stampa olandese hanno dato un ampio risalto alla vicenda con una copertura capillare. In Italia, invece, la notizia è passata quasi inosservata. Come ti spieghi questa differenza di approccio?

Commentavo questo fatto con una mia collaboratrice. Inspiegabile eppure sono state arrestate figure di spicco, quelli di San Luca, non certo esponenti di un clan minore all’interno di un’operazione internazionale. Sinceramente non saprei anche se ammetto di essere rimasto sorpreso.

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