di Massimiliano Sfregola
Se è vero che nell’immaginario collettivo, il porto e la cocaina nascosta tra carichi di frutta esotica provenienti dall’America latina sono una combinazione quasi naturale, è altrettanto vero che questo stereotipo (no, non tutti i cargo battenti bandiera panamense trasportano mango e droga) oscura le dinamiche complesse e altamente sofisticate alla base dell’importazione di stupefacenti via mare.
R’dam è la porta europea per la cocaina
Il porto di Rotterdam, ad esempio, il più grande d’Europa e il secondo più grande al mondo per volume di merci è quasi il magazzino europeo per le organizzazioni criminali: con tonnellate di droga e armi che arrivano lungo i suoi 40km presso le decine di approdi nei quali si articola lo scalo portuale, la città di Rotterdam è testimone, vittima e complice di queste attività.

“Non potrebbe essere altrimenti”, dice a 31mag Anna Sergi, docente italiana presso la Università dell’Essex ed esperta del legame tra porti e criminalità organizzata: “Questa situazione ha a che fare con il meccanismo legale dei trasporti di merci. Immagina la posta.
E’ possibile controllare tutta la posta che arriva? Certamente no. E così, più è grande il porto, più sono difficili i controlli”, dice la Sergi.
Eppure, sembra singolare che un paese piccolo, organizzato e tecnologicamente avanzato come l’Olanda non riesca a monitorare un fenomeno tanto radicato nel porto di Rotterdam ossia una delle sue infrastrutture chiave, proprio per la vocazione commerciale che l’Olanda ha da sempre: “Il problema sono i volumi”, dice ancora la docente.
“Le merci che arrivano al porto vengono pesate in TEU, che è un’unità di misura superiore alla tonnellata. Prova ad immaginare un controllo capillare su una mole mastodontica di materiale, che circola a ritmo continuo.
Difficile è dir poco”. E fa un altro esempio: “Una nave trasporta migliaia di …