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Rembrandt e la schiavitù: che c’è di vero?

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Il titolo della mostra che molti aspettano al Rijksmuseum di Amsterdam è semplice e crudo: Schiavitù. Si tratta di una serie di reperti inquietanti, come un anello di metallo che si trova al Rijksmuseum dal XIX secolo. Precedentemente catalogato come un collare per cani, ora si pensa che sia stato usato su un essere umano. Esposti ci sono altri reperti altrettanto agghiaccianti. E al centro di tutti ci sono due famosi dipinti di Rembrandt.

La ricchissima coppia di commercianti di Amsterdam

La loro inclusione è scioccante, come scrive Jonathan Jones sul GuardianNei Paesi Bassi, non c’è artista più traboccante di compassione di Rembrandt. Eppure la mostra al Rijksmuseum, sede di tanti suoi capolavori, rivela un lato della carriera del pittore che mal si accorda con la nostra visione di un artista con una visione empatica di ciò che significa essere umani.

Nel 1634 Rembrandt van Rijn ritrasse una giovane coppia chiamata Marten Soolmans e Oopjen Coppit. Le opere – perché fu consegnato loro un ritratto ciascuno – sono di solito viste come un altro esempio del suo genio, l’artista il cui intuito eleva la ritrattistica a un livello esistenziale.

 

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I gioielli rivelatori

I dipinti di Rembrandt di persone sposate sono spesso momenti informali di divertimento condiviso. Ma per ritrarre questa ricca coppia, Rembrandt li ha messi in posa separati in due distinte tele a figura intera. Entrambi vestono di nero ma questo cenno alla moralità è minato da ornamenti che simboleggiano la loro generosa ricchezza. Soolmans ha calze di seta scintillanti ed enormi balze argentate sulle sue scarpe, Coppit ostenta fili di perle intorno al collo e oro ai polsi.

Ma c’è un lato profondamente preoccupante della ricchezza di questa coppia, che Rembrandt potrebbe aver voluto sottolineare.

Zucchero amaro

Soolmans era l’erede di una delle più grandi raffinerie di zucchero di Amsterdam e la produzione di zucchero all’epoca dipendeva dagli schiavi. Dal XV secolo fino al 1800 la “voglia di dolce” dell’Europa è stata alimentata dalla prigionia, dal trasporto e dal brutale sfruttamento degli schiavi nelle piantagioni di zucchero nelle Americhe e nei Caraibi. La cosiddetta “età dell’oro” della Repubblica Olandese – quando Amsterdam era il porto più trafficato del mondo e le navi mercantili olandesi attraversavano il mondo – vide i Paesi Bassi imporsi sul dominio iberico sia per l’approvvigionamento di zucchero che di schiavi.

Una nuova prospettiva su Rembrandt

La fabbrica di zucchero dei Soolman si chiamava ‘t Vagevuur, (I Fuochi del Purgatorio) mentre una ditta rivale aveva per nome Inferno. Un riferimento scherzoso al calore del processo di raffinazione. Ma un vero inferno fu creato oltreoceano, nelle piantagioni di proprietà olandese in Brasile, dove gli schiavi non solo coltivavano ma anche bollivano lo zucchero di canna in enormi tini, mentre erano alloggiati nello squallore.

Coppit non visitò mai una piantagione di schiavi, ma i suoi legami con la schiavitù erano evidenti. Dopo che suo marito morì giovane, lei stessa divenne proprietaria della fabbrica di zucchero. Poi prese come secondo marito un certo Maerten Daey, un soldato che non solo aveva trascorso del tempo nelle colonie olandesi, ma era stato perseguito per aver violentato una donna africana.

Di cosa sarebbe colpevole Rembrandt?

La ritrattistica al tempo era redditizia e Rembrandt aveva bisogno di soldi. Nel 1634, l’anno in cui dipinse la coppia, il genio olandese sposò Saskia van Uylenburgh. I due avevano uno stile di vita non proprio morigerato.

Ma a Rembrandt si attribuisce un’intuizione morale che va oltre le convenzioni del suo tempo. Ha ritratto il popolo ebraico con sensibilità in un’epoca di forte antisemitismo. Possibile che si sia limitato a prendere gli “sporchi” soldi dello zucchero e a dare alla coppia ciò che voleva?

Questa sembra una lettura troppo semplicistica. Rembrandt sembra quasi aver intuito che una buona parte del denaro dell’élite olandese, che ha finanziato la proliferazione dell’arte olandese nel XVII secolo, fosse legato direttamente o indirettamente alla schiavitù atlantica.

Di sicuro, il pittore non andò mai d’accordo con l’alta società di Amsterdam. Le commissioni di ritratti non erano le predilette dal pittore e i risultati, che riflettevano la sua determinazione a guardare oltre le apparenze, non soddisfacevano mai i suoi committenti.

Il Ritratto di due uomini africani del 1661

Nel 1661, quando ritrasse il Ritratto di due uomini africani, oggi di proprietà del Mauritshuis all’Aja, Rembrandt viveva un’esistenza molto più marginale nella società del tempo. Dipingeva ancora ritratti ma raramente prendeva commissioni. Van Uylenburgh era morta e viveva ormai con Hendrickje Stoffels. Andò in bancarotta e dovette vendere la sua bella casa con le sue collezioni di costumi, armature e meraviglie naturali.

 

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In quello stesso anno, Rembrandt stava anche lavorando su una rara commissione pubblica che avrebbe potuto renderlo di nuovo il beniamino dell’élite olandese. Gli fu chiesto di dipingere una storia patriottica per il municipio di Amsterdam. Invece di un’allegra scena di trionfo, dipinse La congiura di Claudio Civilis, una scena disperata tratta da un resoconto della ribellione batava nelle Storie di Tacito.

Il ritratto di Rembrandt dei due africani nella società olandese non ha nulla di idilliaco. I due uomini erano probabilmente liberi o liberati, parte di una comunità nera nell’Amsterdam barocca che gli storici stanno iniziando a riscoprire. In effetti, questa comunità si concentrava nello stesso quartiere dove vivevano molti ebrei e dove Rembrandt era di casa. Quindi potrebbero essere stati suoi vicini.

Un’immagine intima e decadente

A differenza della ricca coppia di possidenti, i due uomini sono ritratti in un’immagine che evoca solidarietà e amicizia: uno dei due appoggia il mento sul braccio dell’altro come se volessero esprimere tutto il proprio disagio in una città come Amsterdam. Uno indossa un costume storico, un’armatura che ricorda gli antichi imperi, come se fosse un re caduto. C’è una prepotente aria di smarrimento, come se fossimo di fronte a due uomini che cercano di trovare il loro posto in un mondo distrutto.

Rembrandt non è mai stato in Brasile, né al castello di Elmina nell’attuale Ghana, né in nessuno degli altri luoghi della schiavitù olandese. Ma questo non gli ha impedito di percepire la macchia della schiavitù in Europa e le sue ramificazioni, conclude Jones. Poteva vederlo negli occhi di questi uomini e l’ha catturato in questa magnifica opera. È un dipinto che mostra il suo profondo umanesimo, la sua alienazione dai governanti della sua società e il suo sentimento per i miserabili della terra.

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