Provos, un vademecum letterario

di Antonio de Sortis

Anche la più fallimentare delle rivoluzioni non fa a meno dei suoi poeti. Talvolta gli epigoni più fedeli ne cantano le gesta, altre volte sono i capi rivoluzionari a consegnare le proprie memorie nelle mani degli eredi. Per suggellarne la parabola può tornare utile un racconto di debito e continuità con il passato (con i padri rivoluzionari, con una qualche fonte d’ispirazione) e infine un racconto della decadenza, quello dei critici dell’ultima ora, quando puntualmente la miccia sovversiva si è spenta.

L’esperienza dei Provos non fa eccezione per com’è stata influenzata, raccontata e sfruttata; in tutte le salse, sebbene in modo molto meno schematico che altrove. La velocità delle vicende e il carattere inedito delle pratiche che le riguardano rendono tuttora impossibile una lettura definitiva del movimento Provos, costringendoci a rimescolare continuamente le carte del gioco.

Jan CremerUna va per certo collocata alle origini della controcultura olandese, quando nel 1964, per spavalda lungimiranza o mera astuzia della ragione, la famosa casa editrice De Bezige Bij pubblica Ik, Jan Cremer (Io, Jan Cremer), lo scandaloso romanzo d’esordio di, manco a dirlo, Jan Cremer, tuttora indicato come padre putativo del movimento Provos. Romanzo autobiografico di chiara ispirazione beat, da subito molto discusso per la scabrosità dei temi (teppismo, droga, molto sesso esplicito) quanto per le soluzioni formali adottate; è la versione olandese di Kerouac, tagliata però col cinismo céliniano della guerra vissuta da vicino, nel cuore dell’Europa.

I fatti della guerra e l’occupazione nazista continuavano a scottare sulla pelle degli olandesi, in particolare fra il ‘65 e il ‘66 quando il matrimonio della principessa Beatrix con il mof (crucco) Claus Van Amsberg, ex rampollo della gioventù hitleriana, era ormai alle porte.

A dispetto dell’enorme successo di Ik, Jan Cremer, (la prima edizione andò esaurita in poche settimane), la cui natura letteraria – picaresca e anticonformista – scosse alla radice il mondo editoriale olandese, forse non è del tutto esatto cercare qui le origini del movimento Provo, di cui il beat romantico è la vulgata più comune. Sebbene i costumi dei giovani olandesi stessero cambiando rapidamente – i sit-in contro la guerra in Vietnam ne erano il segnale – qualcuno iniziava a parlare di “futuri traditori”. Durante i due anni di attività del movimento (ricordiamolo, presente quasi esclusivamente ad Amsterdam), uno scrittore quarantenne allora già di buon successo ne fu il più “infedele”, affezionato, intransigente reporter.

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Harry Mulisch, destinato a diventare uno dei Grote Drie della letteratura olandese del novecento, è un quasi affiliato, frequenta quotidianamente l’antro magico del santone Grootveld, la sua penna è già nota per essere tagliente, critica in particolare nei confronti del nuovo regime consumista che a metà anni Sessanta ha già assunto un carattere sacrale.

Secondo Mulisch la lotta di classe non funziona come gli attori della guerra fredda e i socialdemocratici occidentali pretendevano di raccontarla; la vera lotta di classe agisce su scala globale, e riguarda la contrapposizione fra paesi ricchi e poveri (il Vietnam ne è un esempio). Da qui l’idea che tutti i rivoluzionari occidentali, e nella fattispecie la nuova classe dei “giovani”, altro non siano che futuri traditori, futuri consumatori che i Provos hanno avuto, nella loro espressione più autentica e brillante, la capacità di attirare, indottrinare e usare per i propri esilaranti scopi.

Bericht aan de rattenkoning (Messaggio al re dei ratti), pubblicato nel 1966, è il resoconto letterario Messaggio al re dei rattidei fatti avvenuti nei due anni precedenti, dal punto di vista di un complice molto esigente. Si parla dell’emersione del movimento, delle notti intorno al “Lieverdje”, dell’arrivo di Van Duijn ad Amsterdam, ma soprattutto degli happening più famosi; il piano per le biciclette bianche e l’occupazione della Borsa sono i due momenti fondativi in cui secondo Mulisch, tramite il diabolico escamotage della semplice provocazione, si innesca un cortocircuito nell’autorità paternalista tradizionale (corona, governo, sindaco, polizia), provocandone le reazioni violente. Smascherare il fondo di odio e inconsapevolezza alla base di ogni espressione fisica del potere: per farlo basta mettere insieme qualche decina di biciclette e renderle disponibili a chiunque abbia voglia di usarle. Basta dimostrare in che modo qualcosa di materialmente innocuo serbi un potenziale sovversivo, smascherando “il fondo di illibertà” soggiacente alla società consumistica, ossessionata dalla proprietà privata. Per Mulisch questo è de haar in de zoep, “il pelo nella zuppa” che indebolisce l’autorità, fa sì che anche chi ora chiameremmo “i tiepidi”, ad esempio gli studenti, si sentano “oppressi” e si affilino ai Provos in vista delle successive azioni.

Nelle settimane precedenti alle nozze reali, il movimento è senza guida: i due leader sono irreperibili. Mulisch li accusa di aver ceduto all’autorità dopo l’incontro con il pavido sindaco Van Hall, e di aver tradito essi stessi lo spirito Provo. Eppure l’inventiva non manca. Vengono concepite decine di scherzi e assalti carnevaleschi pur di riuscire a sabotare la cerimonia e schernire la coppia reale, e la parata ufficiale dovrà fronteggiare le decine di fumogeni lanciati contro la carrozza all’urlo di “G’not!” e “Liever Revolutie!”. “Godete”, e “Rivoluzione del Liever”, ma anche “Preferisco la rivoluzione”.

homo ludensLe esibizioni parapolitiche dei Provos rimandano così a un altro libro che agisce sottotraccia e che fu probabilmente seminale per la riflessione sulla liberazione giocosa da burocrazia e morale paternalistica. Homo Ludens di Johan Huizinga, pubblicato nel 1938 ad Amsterdam, e precursore di molti temi centrali per il situazionismo francese, sembra il vero supporto teorico di Mulisch nel suo tentativo di tenere ferma la natura cangiante del “Provo” una volta per tutte.
Intransigente rispetto alle battaglie principali, per Mulisch “Provo” è il bimbo che urla “il re è nudo!”, ha una funziona ludica ed eversiva.

Ma non c’è anche qui del pelo nella zuppa? Esiste una sovrapposizione fra la liberazione magica, idolatrante, estetizzante dei rituali di Grootveld e la critica alla società dell’Immagine? Come si concilia la ricerca della New Babylon teorizzata da Constant Nieuwhuijs, una nuova città dell’utopia, con la demistificazione dei miti d’oggi?

Tutte le contraddizioni sono riassunte in questo libretto rosso di Mulisch, uno scritto che “riguarda quegli avvenimenti, ma ne è anche parte integrante”. A metà fra un manuale di guerriglia e una lettera ai posteri, l’autore presenta i suoi personaggi non più come eroi romantici di un romanzo di formazione, ma come figuranti su un palcoscenico della commedia dell’arte, dove la lotta per un mondo migliore sembra essersi trasferita.

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