di Paolo Rosi
“Dopo la presentazione dei Witte Plans e l’eccessiva reazione della polizia, la stampa cominciò prima a deriderci, poi a capirci.” Parla di giornali importanti come Vrij Nederland ed Het Parool, Roel van Duijn, attivista anarchico e, assieme al “mago situazionista” Robert Jasper Grootveld, fondatore del Movimento Provo.
Diversa la storia per il Telegraaf che era invece nemico giurato dei Provos, tanto che a un certo punto gli anarchici cominciarono a stampare un pseudo-giornale satirico: “Il Teleraaf, -raaf significa corvo in Olandese, a cui davamo titoli come ‘La soluzione finale della questione Provo’. Certo fa ridere che, come si è saputo poco tempo fa, durante le elezioni del 1969 più della metà dei giornalisti del Telegraaf votarono per Provo”, racconta van Duijn davanti a una tazza fumante di tè.
Del resto i Provos erano nemici anche del Partito Comunista olandese. “Ci capivano benissimo i leader comunisti. Capivano che eravamo anti-stalinisti e a loro chiaramente non stava bene, in quanto partito più conservatore di tutta la città.”
Nonostante tanti nemici, però, i “Provocatori” della Capitale non furono mai violenti, anche perché la base politica fu il movimento inglese Ban the Bomb. “Eravamo nonviolenti e non eravamo marxisti, molto diversi dall’estrema sinistra tedesca e italiana insomma. Anche se qualche componente di Provo aveva contatti, ad esempio, con Feltrinelli.” Una forma, quella pacifista, influenzata soprattutto da una (quasi) assenza dell’estrema destra: “Il movimento fascista era molto debole in Olanda, dopo la guerra. A noi si opponevano piuttosto conservatori e polizia, che vedevano come minaccia antidemocratica, ma noi eravamo libertari e volevamo più democrazia!”
I Provos erano anche pochi e molto giovani, all’inizio una ventina e poi un centinaio, e cercavano di coinvolgere soprattutto i coetanei: “Nel ’65 ho capito che la rivoluzione non sarebbe arrivata dai lavoratori, ma dai giovani, riuniti in quello che chiamavo Provotariat”. Roel van Duijn si alza, prende un martello e un opuscolo lungo e stretto, in copertina uno sfondo di mattoni rossi e la scritta nera Provo.
“Quello che siamo riusciti a fare meglio è stato provocare. Rendere ridicole le autorità. Questa ad esempio è una delle nostre pubblicazioni clandestine, alla fine attaccammo un piccola carica a salve”, dice alzando il braccio e simulando una martellata sulla pagina, “questo chiedevamo di fare: prendere un martello e far esplodere la rivoluzione.”
Quella di Provo fu davvero un’esplosione, una fiammata in tempi estremamente conservatori, segnati da climi rigidi e autoritari. Cosa rimane, 50 anni dopo, delle istanze libertarie dei Provos, però, è ancora oggetto di dibattito. Per Roel “abbiamo vinto sul fronte della libertà di parola e d’espressione, per esempio, e ora viviamo un clima più democratico e rilassato, nonostante ci siano ad Amsterdam e in Olanda i problemi che ci sono ovunque”.
Su almeno un punto, però, si può dire che Provo ha fallito: “Amsterdam è oggi un paradiso per consumatori. Questo sì. Non abbiamo vinto contro la schiavitù dei consumi, né contro le armi atomiche”.
Anche sul fronte dell’attivismo e delle libertà c’è chi potrebbe avere qualche riserva. Come il collettivo di rifugiati Wij Zijn Heir, rifiutati dal governo e osteggiati dal sindaco Van Der Laan, o Abdulaksim Al-Jaberi, arrestato lo scorso novembre per aver preso a male parole il Re, o, ancora, chi da tempo protesta per il razzismo e le violenze della polizia olandese.
Chissà, forse anche gli occupanti degli ultimi (e tanti) spazi sgomberati nella rilassata Amsterdam: Schijnheilig, Valreep, Slangenpand, Maagdenhuis.