di Antonio De Sortis
Alcune città sembrano non cambiare mai. Percorrendo la Spui di Amsterdam, nel cuore del centro storico, è impossibile non incontrare il “Lieverdje”, la statua del monello dal cuore tenero. Incontro tutt’altro che sconvolgente, a tratti pittoresco.
Nessuno presta più tanta attenzione all’aria impertinente dell’ometto di bronzo, e probabilmente in pochi sanno che cinquant’anni fa, proprio in quel luogo, ogni sabato notte, si celebrava uno dei più bizzarri ritrovi giovanili che l’Olanda ricordi.
La fama di tolleranza e prodigalità della città sull’Amstel non è mai davvero scemata, ma Amsterdam deve più di quel che si pensa al ghigno del monello che, a metà anni ’60, assurgeva a totem di una nuova liberazione metropolitana, la rivoluzione dei Provos.
Una leggera nebbia e un discreto oblio avvolgono gli eventi. Cosa porta un giovane lavavetri di formazione libertaria a conciarsi un po’ da sciamano un po’ da surrealista, e a indire una gratuita protesta anticonsumistica con tanto di pubblico rogo attorno alla statua di un bambino? E cosa fa sì che finisca per incontrare un giovane intellettuale anarchico arrivato da Den Haag, impegnato ad elaborare un nuovo modello di antagonismo, purché destinato al fallimento?
Un bel documentario uscito quest’anno, Rebelse Stad di Willie Lindwer, fa finalmente chiarezza sulla caotica stagione dei Provos, il movimento di ispirazione anarco-situazionista che in maniera brillantemente ludica – quando non frivola – fra il 1965 e il 1967 per prima sconquassò il nuovo benessere della monarchia olandese da poco uscita dalla guerra.
I due protagonisti indiscussi, poli di una sintesi improbabile a cui il documentario restituisce la voce, sono Robert Jasper Grootveld e Roel Van Duijn. Il primo aveva iniziato, sulla falsa riga dei dadaisti del Cabaret Voltaire, dei performer della Fluxus americana, ma soprattutto dei poeti della beat generation, a ideare i primi eventi di arte liberata.
Giocando con ciò che da poco portava il nome di Happening, Grootveld assumeva di volta in volta le sembianze di una figura sacerdotale, sempre diversa ma dalle costanti tinte proto-hippie, esibendosi per le vie della Capitale.
Il primo vero successo fu proprio l’happening intorno al “Lieverdje” (dato più di una volta alle fiamme) per protestare contro il consumo di sigarette: droga cancerogena erogata dal nuovo stato capitalista. Decine di giovani, fumatori incalliti, non sembravano cogliere la contraddizione ma voler solo sbeffeggiare la società dei consumi.
Van Duijn spuntò invece poco dopo, con la sua aria da esistenzialista, ma più che convinto di poter ricorrere alle nuove leve giovanili, (i “Nozem”, teppisti delle aree portuali, e i “Pleiners”, stilosi bohemien del centro) per far scoppiare la rivolta anarchica contro lo stato. Senza sperare minimamente di spuntarla, si intende.
Il risultato sono le gesta dei Provos, il gruppo nato intorno alla rivista omonima, provocatori per il mero gusto di farlo, all’interno di un contesto politico-economico in cui “pareva non ci fosse alcuna ragione per protestare”.
A metà fra la boutade e la militanza, fra sberleffo artistico e ozio antimoderno, i Provos durarono due anni prima di sciogliersi al culmine di popolarità e proselitismo, anticipando in qualche modo buona parte dei movimenti controculturali giovanili che imperversarono in Europa negli anni successivi.
Più di una volta, dicono alcuni, riuscirono a prendersi la città; come in occasione del piano per le biciclette bianche (Witte Fietsplan), ennesimo happening ecologista, questa volta contro l’utilizzo alienante dell’automobile, o del matrimonio della regina Beatrix con il contestatissimo Claus von Amsberg, quando il gruppo millantò di aver immesso LSD nell’acquedotto cittadino per celebrare la circostanza.
Ma Amsterdam, e l’Olanda più in generale, sono davvero cambiate così poco da allora? O forse di quell’esperienza, come i Provos prevedevano, non è rimasta che la (passiva) fruizione in un ricordo spettacolarizzato? “Provo è un’immagine” professa il manifesto del ‘65, e da quella iniziamo.