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Perché Shell è la multinazionale più odiata al mondo?

di Riccardo Aulico

 

Nonostante il mercato globale sia in larga parte dominato dalle multinazionali, non è certo una novità sapere che molte di queste, in diversi settori, non godono di ottima fama: in particolare l’industria dell’estrazione petrolifera è tra le più opache al mondo.

Tra le multinazionali più criticate di sempre c’è il colosso dell’energia anglo-olandese Royal Dutch Shell plc le cui attività negli anni sono finite in diverse occasioni sotto la lente di ingrandimento dell’opinione pubblica grazie a campagne organizzate da associazioni ambientaliste e da movimenti per i diritti umani.

Secondo Sigwatch un osservatorio internazionale che monitora le attività delle NGO, tra il 2011 e il 2015 Shell è risultata la multinazionale che ha concentrato maggiormente l’attenzione degli attivisti: non sono Coca Cola o Monsanto, quindi, le più odiate tanto a livello globale quanto a quello nazionale ma proprio Shell.

In particolare le accuse di disastro ambientale e il sospetto di pesanti violazioni dei diritti umani in Africa sono state oggetto di imponenti campagne di boicottaggio.

Danni ambientali

Nel 2015 la compagnia petrolifera è stata protagonista del più costoso risarcimento per danni ambientali della storia (paragonabile solo a quello pagato dalla britannica Bp per il disastro nel Golfo del Messico del 2010, ndr.): il colosso anglo-olandese dovette infatti sborsare una cifra intorno ai 55 milioni di sterline (70 milioni di euro, 83 milioni di dollari, ndr.) per ripagare gli abitanti della regione nigeriana di Bodo per i danni ambientali causati in seguito alle fuoriuscite degli oleodotti che nel 2008 hanno inquinato la zona del Delta del Niger. Shell opera in Nigeria dagli anni 90 in una joint venture con il governo nazionale ed ha incontrato spesso le accese proteste della popolazione e della comunità internazionale. Questo episodio è forse il più eclatante, ma non di certo l’unico ad aver coinvolto la compagnia in tema di inquinamento ambientale. Tra i casi più emblematici figurano quelli della Brent Spar, piattaforma di stoccaggio galleggiante situata nel mare del Nord smantellata nel 1995 dopo le critiche circa lo stato di manutenzione della struttura, del Sachalin II, piattaforma di estrazione realizzata in collaborazione con la Gazprom (nonostante le iniziali opposizioni del governo Putin, ndr.) nel 1999 ed ancora in funzione nel mare di Okhotsk e della piattaforma Kulluk il cui arenamento in Alaska nel 2013 avrebbe potuto causare un disastro ambientale.

Corruzione e diritti umani

Oltre all’impatto ambientale della sua attività, Shell è stata coinvolta in diverse occasioni in questioni di politica nazionale ed internazionale nei paesi in cui è stata o è tuttora operativa. Anche in questo ambito l’episodio più significativo riguarda gli affari della multinazionale in Nigeria. Fin dagli novanta i signori del petrolio, Shell in testa, e l’ex regime militare nigeriano hanno incontrato la resistenza del Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni (MOSOP) guidato dall’attivista politico Ken Saro-Wiwa. In quegli anni le manifestazioni pacifiche sono state spesso represse violentemente e mortalmente dalla polizia nigeriana fino ad arrivare, nel 1995, all’esecuzione pubblica per alto tradimento di Saro-Wiwa ed altri 8 attivisti. Shell non ne uscì indenne e venne chiamata in causa per violazione dei diritti umani. Quattordici anni dopo la compagnia ha evitato l’imbarazzante processo pagando una multa di 15 milioni e mezzo di dollari. Ma l’ammissione di colpa non ha fatto cambiare registro: nel 2011, infatti, Shell e l’italiana Eni hanno acquistato la concessione della licenza Opl 245,  per lo sfruttamento di un importante giacimento petrolifero a largo della Nigeria per 1.3 miliardi di dollari. L’anno successivo, però, l’inchiesta del Financial Times ha fatto venire a galla come solo una minima parte del denaro sia finita nelle casse dello stato andando per il resto ad alimentare un giro parallelo di corruzione. Ma gli esempi abbondano: nel 2013 Shell è stata accusata di aver beneficiato e foraggiato la politica di segregazione razziale dell’apartheid in Sudafrica tramite la compravendita di appezzamenti di terra. L’ombra della Shell fa inoltre da sfondo al recente conflitto russo-ucraino, legato soprattutto a motivi di indipendenza energetica: il governo guidato dal presidente Yanukovich, infatti, aveva già raggiunto nel 2013, prima dell’inizio delle ostilità e del conflitto interetnico nella regione del Donbass, dove sarebbero poi iniziate le trivellazioni, l’accordo con la compagnia anglo-olandese per l’estrazione di gas e petrolio.

https://www.youtube.com/watch?v=I9Gwf8UcgS0

Impegno energetico

Nell’elenco delle multinazionali più odiate, l’ingombrante record di Shell è dovuto principalmente alla recidività della sua condotta e allo scarso impegno mostrato a favore di un modello  di business eco-sostenibile . Nel già citato caso della Brent Spar, per esempio, Shell decise di dimettere la piattaforma provocandone l’affondamento. Questa scelta fu aspramente ostacolata dalle NGO che riuscirono ad ottenerne, invece, lo smantellamento. Nel 2004 la compagnia finì al centro dell’ennesimo scandalo in seguito alla falsificazione dei dati sulle riserve e i giacimenti petroliferi: quell’anno Shell dovette pagare una multa di 17 milioni di dollari alla Financial Services Authority e 450 milioni di dollari agli shareholders  USA.  Lo scandalo costò il posto dell’allora presidente Philip Watts. Molto nota anche la vicenda legata alle trivellazioni nell’Artico: dal 2006 fino al 2015, con diverse interruzioni intermedie (tra cui il già citato incidente del Kulluk, ndr.), il gigante del petrolio aveva cercato di scavare sui fondali artici. Le forti proteste delle associazioni ambientaliste avrebbero portato poi all’abbandono del progetto.

Non vince sempre Golia

Le campagne delle NGO sono riuscite in più di un’occasione ad ottenere successi contro Shell: l’operato delle associazioni non si è limitato a l’attivismo nudo e crudo, ma anche attraverso campagne di comunicazione potenti e mirate. Parallelamente alla sua attività industriale, Shell negli anni ha supportato diverse sponsorizzazioni in più settori (sport, cultura, intrattenimento etc.) spesso percepite dalle associazioni come un modo comodo per ripulire la sua immagine. In diverse occasioni le NGO sono riuscite ad ostacolare l’operato della Shell come nei casi della Lego e del Science Museum di Londra che, rispettivamente, nel 2014 e nel 2015 hanno pubblicamente interrotto il rapporto con la compagnia petrolifera.

 

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