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Maxe de Rijk su Parool: il teenager che ha insultato la coppia gay? Va punito e ascoltato

Traduzione: Martina Bertola

Lo scorso fine settimana, una coppia gay ad Amsterdam è stata presa di mira con insulti molto pesanti da un gruppo di adolescenti olandesi di origine marocchina. Il video in cui il quindicenne, identificato poi dai media con il nome di Ilyas, dove augura il cancro alla coppia e li riempie di insulti ha fatto velocemente il giro del web. Scatenando un’ondata di solidarietà da parte dell’opinione pubblica per i due fidanzati.

Su questo argomento si è espressa anche Maxe de Rijk con un articolo per l‘Het Parool, in cui spiega come si stia perdendo parte del punto della situazione. 

La giornalista olandese mette le mani avanti: quello che è accaduto è ingiustificabile e il ragazzo va punito. Tuttavia l’autrice dell’articolo, che è anche insegnante, sottolinea come questa sia l’occasione di farsi domane più approfondite su come l’intera vicenda sia stata gestita. 

Un ragazzino, poco più che adolescente è stato messo alla gogna mediatica, ma sembra come riportato da un vlogger, che possa mancare una parte della storia. La coppia gay, infatti, potrebbe aver detto qualcosa che non andava sui musulmani e questo è stato il fattore scatenante dell’intera vicenda, che non appartiene solamente a quegli ultimi minuti di video.

Maxe de Rijk è chiara: non si tratta di giustificare il gesto dei ragazzi, ma di comprendere da dove viene la rabbia che così facilmente è scattata quando si sono sentiti attaccati. Secondo la giornalista non è giusto ora etichettare la versione di Ilyas come vittimizzazione, perchè, che la gente gli creda o meno è suo diritto raccontare la sua versione ed è coraggioso che condivida cosa lo ha fatto arrabbiare. Da questo punto, da questa condivisione si può allora aprire un dialogo che può cambiare le coscienze. De Rijk fa ricorso alla sua esperienza di insegnante affermando che sia necessario chiedere ai giovani da dove proviene questa rabbia che poi li porta a comportamenti che vanno trattati con tutta la severità del caso, ma se non si inizia a capire qual è il nucleo da cui scaturiscono non si potranno mai cambiare le cose. 

C’è da dire che Maxe de Rijk sa bene di cosa parla, è una giornalista lesbica, e sa cosa vuol dire ricevere insulti per strata solo per star camminando mano per mano con la sua ragazza. Non è facile e l’odio fa male, ma proprio per cambiare l’odio bisogno cambiare il rapporto che abbiamo con questi ragazzi.

De Rijk racconta anche della sua esperienza personale, di come quando pedalando con la sua ragazza per Poelenburg a Zaandam, la ragazza le ha chiesto se se la sarebbe sentita di tenersi per mano, lei ha detto che in quel quartiere non si sentiva sicura, ma ha aggiunto “tuttavia se fossi un’insegnante di questo quartiere direi a tutti i miei alunni che sono lesbica”. Naturalmente fa male rendersi conto di non poter esprimere se stessi in ogni quartiere, ma per De Rijk la ricerca del dialogo con i giovani è l’unica soluzione.

I suoi studenti non la insultano, piuttosto fanno domande. Spesso per la maggior parte di loro, lei è la prima persona ad essere “così”. Questo è in qualche modo stimolante. Una volta uno studente, scioccato dopo la confessione della sua insegnante, se ne è andato, per poi tornare – di sua iniziativa –  a scusarsi.

Quello che insegna ai suoi studenti è che devono aderire alle norme e ai valori che si applicano nella società olandese. Se Ilyas fosse stato uno dei suoi studenti in questo momento sarebbe molto arrabbiata con lui e si sentirebbe delusa. 

Quando De Rijk rompe il ghiaccio con i suoi ragazzi e il dialogo inizia, allora lei può far capire quanto faccia male non sentirsi sicuri per strada o essere insultati. In qualche modo si riconoscono tutti nella sua storia. Sono stati tutti  insultati o presi di mira sulla base del colore della loro pelle, del velo della madre o della testa rasata. Con una differenza: ogni volta che vengono attaccati, su Instagram non appaiono bandiere, nessuna storia su quanto sia importante l’accettazione. No, questi ragazzini accumulano rabbia. Questo è esattamente il motivo per cui è positivo che Ilyas condivida la sua storia.

Ilyas potrebbe non essere un angelo. Tuttavia, ha solo 15 anni ed era sotto la pressione causata dal “gruppo”. Dobbiamo dire quanto sia terribile ciò che lui e i suoi amici hanno fatto, ma dobbiamo anche ascoltarli. Se non lo facciamo, non faremo alcun passo avanti. 

 

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