di Alessandro Pirovano
La notizia della morte di Hans Kok fu diffusa alle 10 della mattina del 25 ottobre 1985. Abuso di metadone secondo le autorità, violenza della polizia secondo i suoi compagni del movimento squatter di cui faceva parte. Arrabbiati e disperati per la prima vittima del movimento, nella notte diedero alle fiamme una quarantina tra caserme, edifici governativi e auto della polizia. Dalla fine degli anni ’70 era una delle fasi più dure dello scontro tra le autorità e le migliaia di persone che, attraverso l’occupazione degli edifici sfitti, avevano voluto non solo dare una risposta concreta all’irrisolta questione abitativa ma anche immaginare e praticare un mondo diverso. Amsterdam era una delle città più interessate dal movimento squatter che aveva nel quartiere di Staatslieden, tra Joordan e Westerpark, una delle sue roccaforti, guadagnandosi l’attenzione delle autorità nazionali e locali decise a risolvere “il problema delle occupazioni” particolarmente diffuse nella zona.
Nel 1985 il sindaco di Amsterdam Ed van Thijn aveva deciso di rafforzare la presenza della polizia nella zona per dare vita proprio a Staatslieden a un braccio di ferro con l’ala più dura e militante del movimento squatter. Per questo il 24 ottobre le forze di polizia sgomberarono senza fatica un appartamento al numero 59 di Schaepmanstraat, obbligando una giovane madre con la figlia a abbandonare lo stabile. Immediata fu la reazione degli squatters che in breve si organizzarono presso il bar de Rioolrat per riprendere possesso dell’appartamento, vincendo con piedi di porco e ogni altro oggetto a disposizione la resistenza dei pochi poliziotti rimasti all’interno.

La riconquista dello spazio però, si rivelò effimera: l’arrivo di un numeroso contingente di polizia ribaltò la situazione e una trentina furono gli arresti. Tra loro c’era anche il ventitreenne Hans Kok che venne sbattuto in cella in attesa del processo. L’indomani, mentre altri squatters tentavano di riprendersi l’appartamento conteso, piombò la drammatica notizia: il corpo di Hans Kok giaceva senza vita dietro le sbarre.
La versione ufficiale, diffusa immediatamente, indicava nell’abuso di metadone la causa della morte ma il movimento non ci poteva credere: le circostanze sospette della morte di Hans Kok arrivavano dopo una lunga stagione di scontri tra forze dell’ordine e squatters in città. Nelle ore successive l’imponente spiegamento della polizia nel quartiere mantenne la calma ma nella notte le lacrime di dolore e di rabbia degli squatters si riversarono per le strade, trasformandosi nelle fiamme che illuminarono la città, avvolgendo caserme e auto della polizia.
Dopo anni di divisioni, le diverse anime del movimento si ricompattarono per chiedere giustizia e per ritrovare voce e forza nella società olandese. Inizialmente respinta dalle autorità, nel dicembre 1986 venne presentata l’inchiesta indipendente sulle cause della morte di Hans Kok che riconobbe l’uso di droga solo come una delle cause della morte del giovane: in cella avrebbe potuto essere salvato ma fu lasciato morire. Nessuno però, fu mai processato.