Secondo SVR, unione di fondazioni tedesche che si occupano di integrazione e migrazione, nei Paesi Bassi è relativamente difficile trovare lavoro per gli expats che hanno studiato in loco e vorrebbero rimanere.
Lo ha dimostrato una ricerca, “Train and Retain. Career Support for International Students in Canada, Germany, the Netherlands and Sweden”, portata avanti nel 2014 e che ha analizzato, tra gli altri, 45 istituti d’istruzione superiore olandesi. Secondo SVR, nonostante il 70% dei giovani voglia restare, il mercato del lavoro nei Paesi Bassi preferisce ancora i lavoratori autoctoni. Sono infatti pochissime le aziende piccole (4%) e poche quelle medio-piccole (16%) che assumono expats, a fronte di un 48% di grandi compagnie.
Non finisce qui. Solo un 28% degli istituti intervistati supporta regolarmente gli studenti di altri paesi. E piuttosto raro infatti che gli istituti mettano in contatto i giovani expats con la politica locale, i servizi pubblici o le agenzie di collocamento. In più assumere studenti internazionali può ancora costare caro, nonostante negli anni la legislazione sulla cosiddetta “skilled migration” si sia di fatto alleggerita. Secondo dati ufficiali dell’Ufficio Immigrazione e Naturalizzazione (IND), infatti, per ogni visto lavorativo sponsorizzato le aziende devono sborsare una tassa unica di 870 euro.
Ma non sono solo i soldi a trattenere i datori di lavoro. Il rapporto si conclude infatti con una serie di punti critici che diminuiscono le possibilità per gli expats di trovare impiego: la lingua, la mancanza di un network di conoscenze, la scarsa conoscenza del paese ospitante (legge, politica, fisco) e una generale esitazione da parte degli imprenditori medio-piccoli.