CINEMA

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La poesia del gioco. In mostra i cortometraggi di Francis Alÿs che raccontano l’infanzia tra miseria e riscatto

“Qualche volta fare qualcosa di poetico può diventare politico e qualche volta fare qualcosa di politico può diventare poetico” (Francis Alÿs)

Prima di entrare nella sala, la signora che controlla i biglietti avverte che sulla destra c’è una sala, un po’ nascosta, dove si proietta un corto più lungo degli altri. Se si entra al momento giusto si potrebbe vedere un serpente muoversi a velocità elevatissima, tanto da non riuscire quasi a distinguerlo. Infatti non si tratta di un rettile, ma di una pellicola cinematografica che i bambini trascinano per le strade di Kabul.

Nel corto REEL-UNREEL del 2011, i giovanissimi percorrono mercati, vicoli e abitazioni, passando tra persone e immondizia, divertendosi a trascinare una pizza cinematografica come se fosse un giocattolo. Per quanto sia suggestivo osservarli mentre si divertono con un oggetto di culto per i cinefili, lo sguardo è inevitabilmente attratto anche dalla vita e dalle prospettive che caratterizzano la capitale dell’Afghanistan, messe meravigliosamente in risalto. Inoltre, se si pensa che le pellicole cinematografiche erano state distrutte dal regime Talebano, ci si rende conto anche di quanto siambolica sia la presenza dell’oggetto con cui giocano i bambini.

Il regista di origine belga, Francis Alÿs, si è chiesto come si potessero raccontare certi luoghi di conflitto o di tensione in maniera diversa rispetto a come lo hanno già fatto i vari media.

La sua scelta è stata quella  di focalizzarsi sui bambini e i loro giochi. Da qui il titolo della mostra all’Eye Filmmuseum di Amsterdam, Children’s game, visitabile fino all’8 marzo. L’esposizione è composta da una serie di cortometraggi che mostrano bambini divertirsi in maniera semplice e spontanea, spesso servendosi di spazzatura. La poesia di questi atti messa in risalto dai luoghi circostanti, caratterizzati da miseria, precarietà e guerra. Gli atti dei bambini servono così a riflettere sulla realtà politica e sociale di certe regioni della terra e allo stesso tempo queste realtà rendono ancor più poetici questi atti infantili.

Credit Pic: Hans Wilschut

Il creatore dei corti è nato in Belgio nel 1959. L’artista ha lavorato come architetto nel proprio paese e a Venezia per poi trasferirsi a Città del Messico nel ’86, dove si è specializzato nelle arti visive. Girando per la città ha osservato una realtà per lui inedita e ha iniziato, giorno per giorno, a registrarla.

Il suo scopo è quello di raccontare la realtà del luogo, ma non in maniera passiva. Conoscitore dello spazio architettonico e degli aspetti visivi, Alÿs elabora costruzioni artistiche servendosi di esseri umani, oggetti di uso comune ed elementi del paesaggio, naturali o artificiali. La realtà diventa così un’installazione artistica, riprodotta nei suoi cortometraggi.

I luoghi mostrati dal regista belga toccano ogni parte del mondo. Il cortometraggio 15, Espejos (Mirrors) è stato girato a Ciudad Juarez in Messico nel 2013. I bambini, con dei frammenti di specchio, cercano di colpirsi con il riflesso come se usassero delle pistole. Il campo di battaglia è costituito dal alcune abitazioni abbandonate in una zona desertica. Il regista esalta la geometria delle case e, attraverso il montaggio, crea un’avvincente battaglia, degna di un film western.

Non tutti i luoghi, però, sono necessariamente di conflitto. Il cortometraggio 18, Knucklebones è ambientato a Kathmandu, in Nepal, nel 2017. Il titolo si riferisce al gioco, Aliossi in italiano, che prevede di utilizzare degli oggetti, una volta ossi di pecora oggi dadi e piccoli oggetti di metallo, da lanciare in aria e prendere col palmo o il dorso della mano. Il video si focalizza sull’abilità di due bambine nel giocare, utilizzando sassi. L’artista ritrae le giocatrici in cima a una lunga scalinata, giocando sulla geometria della stessa. Inoltre i colori dei loro vestiti sono messi in risalto rispetto al paesaggio caratterizzato dal grigio della prietra e dal verde della vegetazione, creando interessanti effetti cromatici. L’attenzione, però, si focalizza sulla velocità delle mani delle bambine, quasi ipnotica.

La locandina della mostra è tratta dal cortometraggio 10, Papalote (Kite) girato a Balk, in Afghanistan, nel 2011. Nel corto un bambino, vestito di rosa, fa volare un aquilone. La magia del gioco è interrotta quando il giovane alza lo sguardo per osservare un elicottero militare passare nel cielo. Per quanto sembrino comuni, le sue azioni si svolgono in un contesto estremamente complesso, ed è proprio il suo sguardo di stupore che riesce a trasmettere, per un attimo, tutta questa complessità. Per questo, far volare un aquilone acquista un significato enorme, soprattutto se si pensa che, durante il regime dei Talebani, questo gioco era proibito.

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