L’arte olandese del XVII secolo ha visto una larga diffusione di nature morte. Da allora, i critici sono divisi tra due scuole di pensiero.
Da un lato, questi dipinti offrono un’interpretazione religiosa. Infatti, gli sfondi cupi e gli elementi appassiti diventano i simboli di una vita caduca ed effimera. E se gli oggetti materiali decadono, la cristianità rimane saldo pilastro a cui aggrapparsi.
Dall’altro, queste opere sono considerte il banco di prova delle abilità artistiche di questo o quel pittore. Gli autori utilizzano infatti una vasta gamma di effetti visivi nelle scene di banchetti e di composizioni floreali.
In genere, la natura morta non ha una struttura narrativa. Ma chi dipinge può crearla, riscoprendo significati più profondi al di là delle metafore religiose o delle abilità tecniche.
Le ricchezze derivanti dal commercio estero e dalle imprese coloniali favorirono il secolo d’oro olandese. Lussi esotici si riversarono nei porti olandesi da ogni parte del mondo: frutti provenienti da tutto il Mediterraneo; tabacco dal Nuovo Mondo; spezie e gemme preziose dall’India. Senza dimenticare il tè, la seta e la porcellana dalla Cina e dal Giappone.
E questa prosperità ha avuto enormi ripercussioni sul mercato dell’arte. D’altronde, non è un caso che la natura morta sia nata parallelamente alla nascita del primo capitalismo di mercato e alla prima società al consumo del mondo. Naturalmente, i cittadini olandesi volevano celebrare e immortalare i nuovi oggetti del lusso. Così, dall’inizio del XVII secolo, gli artisti olandesi iniziarono a fare di queste importazioni elementi irrinunciabili dei loro dipinti. Man mano che la ricchezza commerciale cresceva, anche i dipinti diventavano sempre più elaborati.
Nei primi decenni del secolo, gli ontbijtjes colorati (“pezzi da colazione”) erano in voga. Clara Peeters è stata la prima ad introdurre questo tipo di natura morta nella tradizione pittorica olandese. Prodotti locali sono i protagonisti dei sui dipinti. Da una parte, le immagini si rivestono di un sapore nazionalistico. Pensiamo al burro e alle forme di formaggio: vanno interpretati come simboli di orgoglio culturale dell’agricoltura olandese. Dall’altra, la ricchezza non è protagonista assoluta, ma ingloba nello spettacolo visivo anche l’umiltà. Ad esempio, la crosta del biscotto duro e il realismo degli oggetti, riflettono la purezza dei sentimenti calvinisti.
Un decennio o due dopo, i beni commerciali provenienti da tutto il mondo cominciarono ad essere importati con maggiore frequenza. Un gruppo di pittori di Haarlem, guidati da Pieter Claesz e Willem Claesz Heda, ha introdotto i cosiddetti banketjes (“pezzi da banchetto”) nel repertorio di nature morte.

Il Banquet Piece con Mince Pie di Willem Claesz Heda del 1635 raccoglie uno spettacolo stravagante: i colori caldi e sfumati esemplificano il cosiddetto stile “monocromatico”. L’oro e l’argento emergono con evidenza sullo sfondo neutro e sulla tovaglia bianca. Gli oggetti sono riprodotti a grandezza naturale. Al centro della scena olive, limoni, ostriche e condimenti preziosi come sale e pepe. La star di questo banchetto, tuttavia, è il tortino. Condito con spezie importate dall’India e dal Medio Oriente, era una prelibatezza servita solo nelle occasioni festive.
Tra questi ornamenti di ricchezza familiari, non mancano i presagi di morte. Gli occhiali si rompono e le coppe cadono; la torta giace mezza mangiata; la candela è spenta. I gusci di ostriche, considerate potenti afrodisiaci, sono vuoti . Mentre il pane, simbolo della vita e della salvezza, è intatto. Lo storico dell’arte Norman Bryson parla di “natura morta in disordine”. Secondo l’autore, infatti, il quadro diviene espressione della battaglia tra vizi e virtù.
Dopo la fine della guerra degli ottant’anni con la Spagna nel 1648, i Paesi Bassi emersero come forza politica, economica e culturale. Una delle conseguenze dell’indipendenza fu uno spostamento nell’equilibrio del potere. In città olandesi sempre più urbanizzate come Amsterdam e Haarlem, si affermava una classe di ricchi mercanti, banchieri e commercianti. Una classe emergente che aveva un reddito da spendere. E scelse di usarlo per migliorare il proprio tenore di vita. In particolare, molti furono gli investimenti nell’arredamento.
“Opere d’arte, che vanno dalle semplici stampe e copie agli originali, sono appese in quasi tutte le case olandesi“, scrive John Michael Montias nel suo libro del 1991 Vermeer and His Milieu: A Web of Social History. Nel libro Enchanting the Eye: Dipinti olandesi dell’età dell’oro del 2004, Christopher Lloyd stima che tra il 1580 e il 1800 circa 5000 artisti producessero tra 9 e 10 milioni di dipinti (di quelli, meno dell’1% sono sopravvissuti).

Tra gli artisti più celebri dell’età dell’oro olandese, va ricordato Willem Kalf. Quest’ultimo, come altri, realizzò numerosi dipinti con al centro porcellane cinesi, vetri veneziani e tazze e vassoi dorati. Nell’opera “Natura morta con una ciotola cinese, una Coppa e un frutto di Nautilus (1662)” Kalf raggiunge straordinari effetti di luce e colore. Oggetti specifici e culturalmente differenti risultano improvvisamente collegati dalle ambizioni globalizzanti dei Paesi Bassi. La ciotola di zucchero Ming, ad esempio, allude contemporaneamente a fattori diversi. Da una parte, lo zucchero fa riferimento a uno degli elementi più barbari dell’impero olandese: lo sfruttamento degli schiavi nelle piantagioni sudamericane. Dall’altro, il tipico motivo blu e bianco sulla ciotola, testimonianza delle origini cinesi del famoso “Delft Blue”.
Natura morta con aragosta e frutta (1650 circa) di Abraham van Beyeren è ben lontano dalla modestia dei primi dipinti. Invece del tessuto bianco, qui il tavolo è decorato con un tappeto persiano. L’aragosta sostituisce l’aringa, mentre il vino viene servito al posto della birra. I vassoi dorati si riempiono di frutti esotici. L’orologio da taschino nell’angolo in basso a destra è l’unico elemento discorde. Contro la prosperità suggerita dagli altri oggetti, questo ricorda allo spettatore l’inesorabilità del tempo che scorre.
Verso la fine del 1600, la pittura di natura morta abbraccia il puro materialismo. Still life with Moor and Porcelain Vessels (1670) di Juriaen van Streeck ne è un esempio lampante. Al centro uno schiavo africano con un costume di seta a strisce e un copricapo cremisi. L’uomo porta una ciotola cinese piena di limoni e arance. Sullo sfondo, dietro di lui, un tavolo in marmo con un banchetto di ostriche. Incredibilmente, la presenza di un essere umano non sembra violare i termini della natura morta. Lo schiavo, al pari dell’aragosta e dei gioielli, diventa semplicemente un simbolo di ricchezza. In realtà, l’inclusione dei servitori africani nelle nature morte era abbastanza comune. A volte, il soggetto non possedeva nemmeno uno schiavo, ma ne aveva richiesto uno per un ulteriore sfoggio di sfarzo nel dipinto.
Di fronte a tanta ricchezza, una domanda sorge spontanea: chi consuma cosa e a spese di chi? Quando si analizzano queste opere, lo sguardo dell’osservatore si concentra sugli oggetti che ne sono al centro. Tutto quello che c’è intorno appare come cornice accessoria. Tuttavia, le storie delle imprese coloniali e degli sfruttamenti sono essenziali per una comprensione appronfondita.
Julie Berger Hochstrasser ha posto le basi per una critica postcoloniale di queste opere con il suo libro del 2007 Still Life and Trade in the Dutch Golden Age. Nella prima pagina, stabilisce il suo approccio innovativo, citando Karl Marx: “Qual è il valore di una merce? La forma oggettiva del lavoro sociale è stata spesa nella sua produzione “. Queste accuse hanno dato il via ad un processo di sensibilizzazione sull’argomento. Critici mainstream e istituzioni artistiche stanno infatti rielaborando i giudizi sul significato di queste rappresentazioni, alla luce di un nuovo senso critico.
I quadri di natura morta olandesi del XVII secolo offrono l’opportunità di riflettere anche sul mondo moderno, dischiudendo una prospettiva inquietante. La globalizzazione e la cultura del consumo sembrano aver raggiunto un picco. E di fronte a questo, potremmo porci le stesse domande di prima. Quali sono i costi sociali degli oggetti più ricercati e perché la gente ama mostrarli? Nikes, iPhone e abiti firmati sono importati da molti degli stessi siti con cui gli olandesi commerciavano centinaia di anni fa (e impiegano pratiche di lavoro altrettanto discutibili). Questi prodotti non sono soltanto il simbolo di una prosperità. Dietro la superficie della banalità, si cela sempre un universo complesso e diversificato che non va dimenticato.