CoverPic | Author: Elena Torre | Source: Flickr | License: CC 2.0
Molto prima che iniziasse a scrivere, la matematica era per Paolo Giordano, il celebrato autore del romanzo La solitudine dei numeri primi, il modo per “tenere a freno l’angoscia” e controllare le proprie paure. “Mi capita ancora, la mattina appena sveglio, d’improvvisare calcoli e successioni numeriche, di solito è il sintomo che qualcosa non va.” scrive in Nel Contagio, un pamphlet appena pubblicato in Italia da Einaudi e tradotto in olandese col titolo di In tijden van besmetting per De Bezige Bij.
Giordano scrive dallo “spazio vuoto inatteso”, una “interruzione del ritmo” della quotidianità che ci coinvolge tutti. Ma la sua prerogativa è anche quella dello scrittore: e scrivere, in momenti come questi, serve sia per zavorrare le proprie paure che per non perdere la “consapevole volatilità” di quello che siamo diventati.
Ma se la matematica non è solo scienza dei numeri ma dei legami e degli scambi e le epidemie infettano proprio la relazioni tra le cose, quella in corso è un’emergenza matematica oltre che medica.
Prevedere il diffondersi del virus e la sua velocità significa avere a che fare con il caos del mondo: quantificare non solo gli spostamenti ma anche la paura ci permette di guadagnare qualche giorno di vantaggio.
La stupida intelligenza del virus
Cov-2 è un’intelligenza stupida che distingue l’umanità solo in tre categorie: quelli che può ancora contagiare, gli infetti e quelli che non può più contagiare. In breve SIR: Suscettibili, Infetti, Rimossi.
“Erre-con-zero” è il cuore della pandemia. É il fattore di contagio: nel caso del Covid-19 è due e mezzo. Ogni infetto può contagiare a sua volta due suscettibili. Una crescita esponenziale che non lineare ma che possiamo controllare: il “senso matematico” dello stare a casa è proprio abbassare “erre-con-zero”.
Giordano inizia a scrivere il suo pamphlet il 29 febbraio quando l’epidemia ha buone probabilità di diventare la principale minaccia per la salute del nostro tempo: Sars-CoV-2 è il primo nuovo virus a diffondersi così rapidamente in tutto il mondo. É un virus sfacciato il Sars-Cov-2 sia rispetto al suo predecessore Sars-Cov che al perfido Hiv capace di tramare nell’ombra per anni.
Da quella data sembra essere trascorsa un’era: a Milano le scuole erano già chiuse e le strade vuote, ma nella sua città natale Roma tutto è “ancora un po’ normale”. Lo scrittore, anche se ipocondriaco, non è spaventato dalla paura di ammalarsi. Ciò che lo tormenta è il fatto che la civiltà posso sgretolarsi o il suo esatto contrario: “che la paura passi senza lasciarsi dietro un cambiamento”.
“Nessun uomo è un’isola”
Il libretto racconta delle prime rinunce volontarie, le cene tra amici e le vacanze in montagna. Quando ancora era permesso un moto di ribellione contro il nostro bisogno di socialità, “essere meno di un metro dalle persone che per noi hanno importanza”. Poi subentra la consapevolezza dell’interconnessione: rinunciare spontaneamente a una festa, significa tutelare la capacità di assorbire l’urto del propri sistemi sanitari nazionali ma anche anziani, immunodepressi e le milioni di persone che nel mondo che per motivi socio-economici sono molto più a rischio di altri.
“Ciò che stiamo attraversando ha un carattere sovraidentitario e sovraculturale. Il contagio è la misura di quanto il nostro mondo è diventato globale, interconnesso, inestricabile.”
Di chi è la colpa
Non dei giapponesi scambiati per cinesi davanti ai supermercati della provincia milanese. E neanche dei poveri pipistrelli. La colpa di quanto succede è della nostra aggressività verso l’ambiente: deforestazione, estinzione, allevamenti intensivi, cambiamento climatico sono sul banco degli imputati. Ma pensarla quella aggressività è un compito arduo perchè, come scrive Giordano, “mentre la realtà diventa sempre piú complessa, noi diventiamo sempre piú refrattari alla complessità.”
Ciò che il contagio ci lascia è un “invito a pensare (…) “Pensare cosa? Che non siamo solo parte della comunità degli esseri umani. Siamo la specie piú invadente di un fragile e superbo ecosistema.”
Un appello alla ragione, a tratti petulante ma necessario: “siamo davanti a qualcosa di piú grande, che merita la nostra attenzione e il nostro rispetto. Che esige tutto il sacrificio e la responsabilità di cui siamo capaci.”
Di sicuro – ci ricorda Giordano – non potremmo tornare a quella che fino a poco tempo fa era la ‘normalità’, non vedere questa pandemia come un ‘fastidioso intermezzo’ come scrive Marjolijn De Cocq. Di più, al momento, lo scrittore non può dire perchè non è ancora afferrabile:
“ora è il tempo dell’anomalia, dobbiamo imparare a viverci dentro, trovare delle ragioni per accoglierla che non siano soltanto la paura di morire.”