di Antonia Ferri
Le donne in Belgio guadagnavano nel 2015 il 22% in meno degli uomini. Nonostante quello che era successo cinquant’anni prima: il 16 febbraio 1966 le lavoratrici della FN di Herstal, azienda produttrice di armi da fuoco e automobili vicino a Liegi, iniziarono uno sciopero che durò 12 settimane. 3000 lavoratrici che lanciarono uno dei più grandi scioperi della storia del Paese. Lo slogan era “uguale salario per uguale lavoro”.
Il Trattato di Roma del 1957, adottato dai Paesi fondatori della futura UE, richiedeva l’introduzione di un salario unico entro cinque anni. La situazione però restò molto disomogenea. La rabbia delle lavoratrici della FN si fece sentire presto.
Lo sciopero per la parità salariale
Come racconta Solidaire in un lungo articolo, quello stesso 16 febbraio, di fronte al rifiuto della direzione della fabbrica FN di Herstal di migliorare le condizioni lavorative, le lavoratrici entrarono in sciopero. Uscirono dalla fabbrica e manifestarono nelle strade di Herstal, al ritmo della hit di Henri Salvador Le travail c’est la santé (Il lavoro è salute), alla quale unirono la frase: “Il lavoro è salute, ma per questo bisogna essere pagate”.
Il lavoro di quelle che venivano chiamate “donne-macchina” era, infatti, duro:
Le macchine erano fatiscenti: su 4.000 di esse, 2.800 risalivano a prima della guerra, e poi c’erano le pulegge, le cinghie di trasmissione visibili, il rumore infernale, lo sporco, l’assenza di una doccia, nient’altro che un secchio di acqua fredda attaccato alla loro sedia
ricorda Annie Massay, all’epoca membro permanente di Setca, una delle sigle che sostenne attivamente lo sciopero. Per quanto riguarda i salari, i lavoratori maschi meno qualificati iniziavano con un salario di grado 4, mentre le donne avevano accesso solo ai gradi da 1 a 3. Inoltre, l’accordo che era stato concluso il 18 febbraio dalle parti sociali del settore metallurgico aveva previsto per le donne un aumento di un solo franco all’ora. Molto lontano da una qualsiasi parità salariale.
Il sindacato e le donne contro il pregiudizio
Convincere i sindacati a sostenere lo sciopero fu una vittoria in sé. Di fronte alla determinazione delle lavoratrici, però, il personale permanente decise di appoggiare lo sciopero e, nella seconda assemblea generale del 21 febbraio, i sindacati confermarono il loro sostegno e dichiararono che le scioperanti sarebbero state indennizzate. Esse, inoltre, sarebbero state difese dagli attacchi dell’establishment.
Tra cui il silenzio. Ci volle più di un mese, infatti, per il primo servizio televisivo sullo sciopero.
Un altro attacco fu il sessismo. Il salario delle donne era ancora spesso visto come un reddito supplementare per le famiglie, dove era l’uomo che doveva portare il denaro. I datori di lavoro puntarono, quindi, a lamentarsi dell’alto tasso di assenteismo delle donne. La delegata del CSC Jenny Magnée rispose all’attacco in un articolo del 2 aprile:
Perché questo assenteismo? A causa delle cattive condizioni di lavoro, il lavoro delle “donne-macchina” è molto duro (…) Girano tra 4, 5 o 6 macchine per 9 ore (…). Ripetono gli stessi gesti tutto il giorno (…) Sono come dei robot. Il capo si lamenta dell’assenteismo delle donne. Cosa fa per ridurlo? Aumentare costantemente la produzione! Vorrei dargli un consiglio: dovrebbe creare asili nido e scuole materne per i figli delle donne che lavorano alla FN, perché non sempre si prendono del tempo libero per loro stesse.
Un comitato ufficiale di sciopero fu formato il 28 febbraio. Il comitato, composto da 29 scioperanti, nominò Charlotte Hauglustaine (FGTB) presidentessa e Rita Jeusette (CSC) segretaria.
Il lavoro essenziale delle donne
Alla fine dello sciopero, però, 5.000 uomini si trovarono di fatto disoccupati, o più che altro incapaci di lavorare a causa dei compiti essenziali delle donne.
Per molti di loro, lo sciopero fu quindi una grande perdita finanziaria. Si organizzò così un moto concreto di solidarietà. I giornali progressisti portarono avanti campagne di sostegno e il comitato di sciopero contribuì a distribuire le donazioni.
Il ruolo internazionale della protesta per la parità salariale
I negoziati continuarono senza progressi. A metà marzo, lo sciopero era ovunque. Vari lavoratori di diverse fabbriche ottennero degli importanti aumenti salariali.
Il 7 aprile successivo, a Herstal si svolse una manifestazione. Vi parteciparono i lavoratori di FN, ACEC e Ateliers Schréder. Il 16 aprile, le organizzazioni sindacali lanciarono un appello per una manifestazione nelle strade di Liegi il 25 aprile. Fu un successo: più di 5.000 persone scesero in strada a Liegi con lo slogan “uguale salario per uguale lavoro”. Erano presenti delegazioni di diverse organizzazioni femministe, sindacalisti di tutto il paese e di altri paesi europei. In tutta Europa, i media riferivano dello sciopero delle donne a Herstal e il Primo Maggio si celebrò sotto il segno della parità salariale.
Il 4 maggio, sindacati e direzione della fabbrica raggiunsero un accordo. Ai lavoratori fu garantito un aumento orario di 2 franchi dall’inizio. Le scioperanti di FN non ottennero però i 5 franchi che avevano richiesto. La parità salariale non si raggiunse e la direzione della fabbrica riuscì a imporre la lotta all’assenteismo femminile.
Dopo lo sciopero, ci sono stati alcuni miglioramenti, ma soprattutto, c’è da dire che le donne erano più consapevoli dei loro diritti.
Spiega Rita Jeusette. Nel 1974 un altro grande sciopero portò a un reale miglioramento delle condizioni di lavoro.
Ma la posta in gioco era più alta. Le scioperanti ispirarono altre donne in Belgio e in Europa, e portarono a un’importante evoluzione nel movimento sindacale. Sia la FGTB che la CSC pubblicarono documenti e posizioni sui diritti delle donne sul lavoro rispettivamente nel 1967 e nel 1968. All’indomani dello sciopero della FN, le donne sindacaliste riuscirono a far cambiare lo statuto per aggiungere molte donne agli organi decisionali.
La seconda ondata
Le scioperanti lottarono e lottano anche contro le concezioni del lavoro femminile. Era necessario un salario cospicuo che permettesse loro di vivere ed essere indipendenti. Così ai bisogni economici della parità salariale si aggiungevano quelli sociali. Lo sciopero delle donne di FN aprì così la strada alla seconda ondata del femminismo. Tramite questa storia si consolidò il bisogno di concepire come reale il legame tra vita privata e lavoro.
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