di Riccardo Aulico
Quella di ieri non è stata una domenica qualunque per i tifosi del Feyenoord: la citta’ di Rotterdam, ieri pomeriggio ha festeggiato in grande stile per le strade dopo la conquista dell’edizione 2016/17 dell’Eredivisie.
C’eravamo anche noi, “mimetizzati” tra i tifosi.
Il calcio non è solo uno sport, per molte cittá rappresenta un collante o una frattura culturale, che modella identità collettive.
Rotterdam ed Amsterdam, Feyenoord ed Ajax, una rivalità che affonda le proprie radici al di fuori del campo da gioco e ben lontano negli anni. E, come spesso accade in questi casi, le ragioni sono prevalentemente economiche e culturali: da un lato Rotterdam, seconda città olandese e tra i primi porti del mondo, da sempre il vero motore commerciale e produttivo della nazione, dall’altro Amsterdam, capitale, centro culturale e del divertimento.
In Rotterdam verdienen ze het, in Den Haag verdelen ze het en in Amsterdam smijten ze het over de balk. [cit. J. Deelder]
La citazione ( “I guadagni vengono fatti a Rotterdam, divisi a Den Haag e sperperati ad Amsterdam”, ndr.) di Jules Deelder, scrittore originario di Rotterdam, riassume bene quella divisione. Dagli anni ’60 ad oggi il calcio è stato un combustibile efficace che ha acuito le tensioni sfociando più volte in violenza e antisemitismo, almeno tra le frange più violente ed estremiste delle rispettive tifoserie, in particolare quella rosso-bianca, spesso associata con manifestazioni di razzismo. Ma questo, è un paradosso che cozza con quella che è la vera e moderna anima di Rotterdam, colorata e multiculturale.
Nonostante ieri il Klassieker, ossia il derby calcistico tra Feyenoord ed Amsterdam, non si sia disputato nel rettangolo verde, le due squadre hanno lottato a distanza fino al 90′ per conquistare il titolo: l’Ajax ha tentato il tutto per tutto il sorpasso in extremis, ma la vittoria per 1-3 contro il Willem II non è bastata per rovinare la festa al Feyenoord che, da primo in classifica fin dalla giornata d’esordio, ha conquistato dopo 18 anni il titolo tanto ambito grazie al successo contro l’Heracles.
Una vittoria che sa di riscatto, sportivo, sociale e culturale; una vittoria difficile, emozionante, con protagonista Dirk Kuyt, un giovincello di quasi 37 anni che aveva già scritto un pezzo di storia del club e che ieri ne ha consacrato una gloriosa pagina, realizzando una tripletta indimenticabile.
Il nostro viaggio inizia ad Amsterdam. Il treno delle 11:54, neanche a dirlo, è puntuale e a Gouda, dopo un’ora spesa a guardare le campagne e i campi verdeggianti fuori dal finestrino, una famigliola con papà e due figli prende posto accanto a noi; indossano sciarpe e magliettine del Feyenoord. Wim racconta della sua passione, nata nel lontano 1999, proprio quando il Feyenoord alzò per l’ultima volta la coppa al cielo. I figli Jeroen e Frank studiano e vanno all’università ma anche loro sono stati contagiati dalla febbre rosso-bianca e sognano di poter finalmente vedere la squadra del cuore tornare alla vittoria. I tre ci raccontano cosa vuol dire essere tifosi del Feyenoord. “In città sono molto più fanatici”, ci dice il giovanissimo Frank alludendo agli scontri che la domenica precedente avevano coinvolto la polizia ed un manipolo di hoolingas del Feyenoord. “Se non vinciamo oggi sarà ancora peggio. Perdere il campionato all’ultima giornata dopo aver dominato per tutta la stagione sarebbe incredibile”. Per fortuna è andata diversamente. “La tifoseria del Feyenoord non è razzista, non lasciatevi fuorviare dai cori contro gli ebrei che sono una delle tante eredità della storica rivalità con l’Ajax o dai singoli episodi come quelli accaduti domenica”. Sara’, ma restano episodi comunque spiacevoli.
Una volta a Rotterdam, via verso la piazza centrale, per vedere il match sui maxi-schermi insieme ai circa 37.000 tifosi che non sono riusciti ad avere i biglietti per lo stadio (tra questi non c’erano sicuramente Wim, Jeroen e Frank, già probabilmente seduti nei loro posti assegnati). E qui brutte notizie: l’accesso alla piazza è a numero chiuso, probabilmente nel timore di scontri. Ci vuole un biglietto, esaurito da giorni.
No, non molliamo: cosa fa chi non ha biglietto? Va al pub (fuori, perche’ dentro sembra capodanno per la folla). Eccoci nel marasma di olandesi bianchi, neri, di sudamericani, asiatici; di donne, uomini, bambini, famiglie, coppie, gruppi di amici. Il melting pot di Rotterdam ci travolge con i suoi colori, con le sue urla. Birra, spinelli, risate, rumore, abbracci, si festeggia ancor prima di aver vinto.
Continuiamo a camminare e ci imbattiamo in Otmar e Nancy, una giovane coppia di origini surinamesi. A loro si aggiunge Liana, anche lei surinamese: parliamo di Rotterdam, di integrazione e di Feyenoord. Nancy è tifosa da sempre, così come Otmar, ci racconta di essere nata nell’ospedale di fronte al De Kuip, lo stadio del club, e che non avrebbe potuto tifare nessuna altra squadra. “Qui si vive bene, la comunità cittadina è sempre più integrata ed unita e il calcio è stato un elemento fondamentale”, dice Otmar. Dopo un pronostico veloce, peraltro azzeccatissimo, lasciamo i nostri amici e proseguiamo la camminata.
La città è sorvegliatissima: elicotteri che pattugliano dall’alto, unità a cavallo che perlustrano le vie ed un dispiegamento di forze dell’ordine da grande evento. L’evenienza di una sconfitta e la reazione dei tifosi, che già la settimana scorsa avevano dato un antipasto più che sufficiente, ha messo in allarme il comune ed il primo cittadino Ahmed Aboutaleb.
Da un lato la polizia, dall’altro i volti coperti di alcuni tifosi, quelli che forse avrebbero preferito una sconfitta per dare sfogo a delle reazioni che poco hanno a che vedere con il calcio. Proprio come accadde nel febbraio del 2015 a Roma, quando alcuni loro “colleghi” vandalizzarono Piazza di Spagna.
Continuiamo a camminare ed intravediamo un altro pub stracolmo di gente che beve fiumi di birra. Andiamo ed incontriamo tre giovani tifosi del Feyenoord: Alex, Pieter e Varun. Nessuno dei tre è di origine olandese, Alex è brasiliano, Pieter è di origine cinese ma è nato a Rotterdam, mentre Varun è di origine indiana. I tre sono compagni di scuola e ci raccontano di come proprio tra i banchi di classe sia nata, grazie alla spinta di Pieter, la loro passione per il Feyenoord.
Bando alle ciance, la partita sta per cominciare e bisogna trovare una televisione per guardare il match. Insieme ai nostri tre nuovi amici andiamo al Barclay lì vicino e ci uniamo alla festa rosso-bianca. Fischio d’inizio e un gol dopo l’altro esplode la gioia dei supporter che prima ancora della fine della prima frazione urlano a gran voce “Kampioen! Kampioen!”.
Dopo i primi 45′ i padroni di casa sono avanti 2-0 ed il titolo è praticamente in tasca. Approfittiamo del clima disteso e di festa per conoscere ancora più volti e storie. C’è chi ha portato la fidanzata o la moglie a vedere la partita, c’è chi ha portato i propri figli a festeggiare il primo scudetto della loro vita, c’è chi si ubriaca insieme agli amici, ma soprattutto c’è un miscuglio travolgente di culture che si fondono insieme, tutte accomunate in quel momento dalla stessa passione per il Feyenoord.
Nonostante l’ampio vantaggio, i tifosi non smettono di seguire la propria squadra e di accompagnarla con lo sguardo e con la voce fino al fischio finale. Da lì in poi comincerà la festa vera. I tifosi si abbracciano e ci abbracciano, parliamo di noi e del nostro giornale, parliamo di calcio e di Rotterdam, ci chiedono tutti una foto (vedi la galleria) per immortalarli al termine di un’impresa che è anche loro oltre che della squadra.
I supporter di oggi, sono riusciti a farci cambiare idea sui tifosi del Feyenoord.