di Virginia Zoli
Un dolce aroma pervade il corridoio stretto che porta dritti allo studio di Joshua, torrefattore di caffè. Pareti ricoperte di scritte e disegni, una stanza arredata con gusto, musica ambient di sottofondo e, soprattutto, miriadi di chicchi scuri racchiusi in tanti vasetti di vetro: è l’universo di “Dolce Alchemia”, fatto di caffè tostato da Joshua e la sua ragazza italiana, Angela.
Entro nel loro laboratorio con un’amica e, ovviamente, per prima cosa ci facciamo offrire una tazza di caffè (mica sceme). Sprofondo nella poltrona della sala e ripercorro emozionata il rito tutto italiano dell’ora dell’espresso: la moka sul fuoco, il piacevole brontolio che spezza l’attesa, la fiamma che si abbassa piano piano.
Joshua è un ragazzo americano, si è trasferito in Europa nel 2001. “Quando è stato eletto Bush”, dice, “ho detto bye bye all’America”. Prima di creare il suo brand lavorava nell’industria Bocca come consulente e assaggiava fino a 35 espresso al giorno: “Ogni mattina quando i miei colleghi arrivavano, io ero già al quinto caffè”. Lo guardo stupita. “E io che pensavo di berne troppi”, penso.
Gli domando come si è sviluppato il progetto Dolce Alchemia nel corso degli anni, e da dove sono partiti.
“Abbiamo cominciato 4 anni fa, col supporto dei nostri amici. Assaggiavano il caffè tostato (che proviene direttamente da Costa Rica, Brasile, Ethiopia, per citarne alcuni) e ci davano dei consigli. Ora abbiamo clienti più grandi: quelli principali sono un bar e un camping. Poi viaggiamo tanto, partecipiamo a festival, inaugurazioni di mostre, sagre”, mi racconta guardando ogni tanto fuori dalla finestra, che da Nord, dove ci troviamo, saluta l’altro lato di Amsterdam.
Mentre parla, gironzolo per la stanza e mi avvicino al “tostacaffé”, che non assomiglia per niente a quelle che avevo visto fino ad allora. Gli chiedo da dove provenga e mi risponde che tutto dentro il loro atelier è riciclato: “Il macinacaffè è degli anni ’50, mentre la macchina del caffè è di una marca tedesca e risale agli anni ’60. Non abbiamo mai comprato nulla di nuovo”.
Non me ne intendo molto di caffè, nonostante ne beva a bizzeffe. Però, ho come l’impressione che queste macchine d’altri tempi donino un aroma unico ai chicchi ruvidi e profumati. Proprio buono ‘sto caffè tostato da Joshua, penso mentre ne verso un altro po’ nella tazzina.
E lui, come a leggermi nel pensiero “Noi conosciamo sempre le radici di ogni chicco, sappiamo da dove viene, come è arrivato qui. E cerchiamo sempre di ricordarci qual’è quello che piace di più”.
Pre quanto mi riguarda, io di questa giornata mi ricorderò senza dubbio. E intanto, per non rischiare di dimenticare, mi porto a casa una busta di caffè.