di Massimiliano Spotti
In reazione al commento del Ministro degli Interni, Matteo Salvini, sul fatto che l’Italia metta a disposizione corsi di lingua e tratti bene i propri immigrati mentre i Paesi Bassi diano loro tulipani, ci sarebbero parecchie cose da dire.
Si potrebbe dire, per esempio, che dal 2007, con l’allora ministro dell’integrazione Rita Verdonk, i Paesi Bassi hanno visto la nascita dell’obbligo di integrazione, composto da corsi di lingua neerlandese (allora sovvenzionati dallo Stato) e corsi di ‘civilizzazzione’ (termine infelice ma che si avvicina maggiormente al neerlandico ‘inburgering’). Sempre in risposta all’On. Salvini, si potrebbe inoltre sottolineare il fatto che, dal 2011 ad oggi, con l’avvento del mercato libero per i corsi di lingua neerlandese L2, ci si trova nella situazione paradossale in cui i corsi (online) di Neerlandese L2 sono troppi mentre gli studenti sono troppo pochi date le restrizioni volute dal governo Rutte III all’immigrazione.
Tuttavia, tralasciando l’ignoranza del Ministro e la diatriba effimera che ne scaturisce su ‘chi tratta chi, come, facendo cosa e con quali modalità’, penso sia giusto fare una riflessione piu’ ampia su cio’ che sta dietro al concetto di lingua ed accoglienza dell’immigrato. Questo intervento quindi non è fatto per difendere a spada tratta una nazione – i Paesi Bassi intendo – nè per denigrare l’Italia ed il suo encomiabile operato in campo migratorio a livello Europeo. E’ fatto invece con lo scopo di paragonare i due sistemi e dove necessario elogiarli o criticarli a riguardo del loro approccio all’immigrazione ed alle politiche d’integrazione.
Troppe poche volte ci ricordiamo che l’integrazione è uno dei concetti piu’ “fuzzy” delle scienze sociali. Proviamo infatti a chiederci ma quand’è che un soggetto migrante è integrato?
Cominciamo con una domanda alla trivial pursuit. Domanda che, tra l’altro, spesso pongo ai miei studenti neerlandesi indigeni. Conoscete la vostra costituzione? Sapete perchè la bandiera neerlandese ha tre colori? Conoscete il testo del vostro inno nazionale (Het Wilhelmus: MS)? Tralasciando i volti attoniti da screen saver che spesso si fanno luce in classe, se penso che uno di loro mi rispose cantando ‘You’ll never walk alone’ di Lee Towers in quanto ‘iedereen zingt het mee op Koningsdag’ il definirlo non integrato ed il ritirargli il passaporto sarebbe stato non un diritto, ma un dovere.
Proseguiamo ora con una domanda più astratta. Possiamo dire che un essere umano di provenienza X sia integrato nel momento in cui ubbidisca a regole di condotta sociale prestabilite come quelle che vengono propinate nei corsi di integrazione? Si lo possiamo dire. Tuttavia questo lo dovremmo dire per tutti i residenti, indigeni e non, in quanto siamo tutti entità le cui azioni sono sottoposte all’autorità regolativo-restrittiva dei codici (civili o penali che siano) usati per ‘ordinare’ gli spazi sociali di cui facciamo parte nel nostro quotidiano.
Infine rivolgendoci all’uso della lingua ufficiale del Paese ospitante come indice di integrazione socio-culturale – come spesso asserisce il Ministro Salvini o come spesso riporta il discorso politico neerlandese – possiamo dire che chi parla bene il neerlandese o l’Italiano è integrato? Se cosi fosse sarebbe il caso di buttare un occhio alle statistiche di analfabetismo di ritorno in cui, purtroppo, l’Italia è protagonista e nella preoccupante denuncia della scarsità di studenti e di insegnanti di lingua neerlandese, in quanto tanto già la si conosce perche’ indigeni.
L’integrazione è in entrambi i Paesi in questione, spesso oggetto di additamento pubblico “del neo-arrivato”. Tale additare, se non vi sono interessi economici di sorta più importanti del consenso elettorale, si trasforma poi nel disdegno e conseguente denuncia del possibile pericolo che “il neo-arrivato” porta con se tramite la sua ’amoralità. E’ il neo-arrivato l’oggetto delle nostre disgrazie interne ed è spesso e volentieri sempre il neo-arrivato a divenire unico soggetto esposto all’obbligo morale di normalizzarsi tramite l’integrazione.
L’integrazione, quindi, è ciò che costituisce la richiesta che la voce di ogni Stato-nazione fa a chi vive una condizione diasporica. Quest’ultima, tuttavia, non è endemica solo ai richiedenti asilo ed ai rifugiati ma, come spero di avervi dimostrato negli esempi precedenti, tocca tutti coloro che, come voi che mi state leggendo, vengono categorizzati in modo esotico con la dicitura di expat, e tocca inoltre tutti quelli che – in quanto indigeni di entrambi i Paesi – ritengano che l’integrazione sia solo un dovere dell’altro.
Massimiliano Spotti e’ docente di antropologia e (digital) literacy presso Tilburg University. E’ inoltre membro del consiglio della Lingua e Letteratura Neerlandese, organo consultivo della Nederlandse Taalunie.