di Paola Pirovano
Un uomo in cima ad una scala e tende le mani verso l’alto, sul tetto di una clinica psichiatrica a Amsterdam West. Non si tratta di fiction o del gesto di uno squilibrato, probabilmente di entrambi: parliamo di How to meet an ange di Ilya e Emilia Kabakov, tra i maggiori artisti concettuali contemporanei, nati nell’ex Unione Sovietica e ora residenti negli Stati Uniti.
Gli artisti – che fecero una prima versione dell’opera nel 2003 – descrivono l’incontro con un’entità celeste tutt’altro che straordinaria: “(…)incontrare un angelo sembra quasi impossibile. Ma non è assolutamente così. Basta ricordarsi che questo incontro può accadere in circostanze estreme, e soprattutto in momenti critici della vita.”.
Trattandosi di una clinica psichiatrica, questa citazione potrebbe fotografare la situazione dei pazienti. L’uomo in cima alla scala rappresenta un segno di speranza, e simboleggia la lunga strada da percorrere prima di poter lasciare la clinica e abbracciare di nuovo la città, magari con l’aiuto di un guardiano.
Nonostante l’opera sia stata a volte interpretata come un’immagina negativa, che rimanda al suicidio, i due artisti insistono nel sottolinearne il carattere positivo: la scala simboleggia l’ascesa, il percorso verso l’alto, che i pazienti affrontano faticosamente, gradino dopo gradino. Nello zaino, l’uomo porta il bagaglio acquisito, che lo aiuterà nella sua scalata.
Con il loro lavoro, i Kabakov desiderano sottolineare l’importanza dell’uomo e del sentimento di umanità, che deve essere al centro delle preoccupazioni dei medici e del processo di recupero psicologico. “(…) quando si avvicina alla cima, si ritrova oltre le nuvole, solo, in balia del vento e del tempo inclemente. Si crea così quel momento di crisi (…) e vedrà inevitabilmente apparire un angelo venuto per rispondere al suo grido di aiuto” : l’uomo in cima alla scala ha infatti le mani tese verso l’alto, in un gesto di speranza.