Traduzione: Elena Basilio
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L’articolo della blogger Jennifer Aardema, pubblicato sul sito di Atria, l’istituto olandese per la parità di genere e per la storia delle donne, analizza la giornata di Ilse, il nuovo volto della pubblicità di Albert Heijn. Ilse stura un lavandino, fa la spesa, prepara una cena completa, trova il tempo di portare cibo pronto al vicino, aiuta la madre nello shopping e le paga il conto se è al verde, va a yoga, non è capace di uscire da un parcheggio troppo stretto o di riparare una gomma della bici e quindi va a piedi al lavoro. Ebbene sì, Ilse lavora, e per suo figlio lei è “la capa” di un Albert Heijn, ma lei si schernisce prontamente perché è “solo” manager di una filiale.
Albert Heijn ha lanciato nel mese di settembre una nuova campagna per renderci partecipi della sua vita intensa. Secondo Albert Heijn e l’agenzia TBWA/Neboko, l’obiettivo è stato la realizzazione di una campagna attuale e unica. Probabilmente, suggerisce Jennifer Aardema, per raggiungere l’unicità desiderata è bastato sostituire il volto precedente con uno femminile, non farle fare solo “cose da donne” ma persino lavorare e, ciliegina sulla torta, darle persino un ruolo manageriale.
L’attualità sta nel fatto che Ilse è indipendente e corre esausta da un impegno all’altro senza ricevere nulla in cambio. Il compagno prova a cucinare una volta a settimana, ma non va oltre la pizza surgelata. Va a yoga perché, come ci viene richiesto dalla società, deve tenere il fisico e la mente in forma, e si occupa non solo della madre ma anche dell’anziano vicino. Infine, proprio come avviene a chi è affetto dalla sindrome dell’impostore, una patologia per lo più femminile, è la prima a sminuire il proprio ruolo di capo.
Eppure, i veri manager di Albert Heijn sono perlopiù uomini, a differenza di Ilse sono ben riconoscibili, e chiacchierano cordialmente con i clienti pochi minuti al giorno, per poi passare il resto della giornata nel loro ufficio. Infine, lasciano il lavoro per tempo, vanno a casa a sedersi al tavolo apparecchiato dalle proprie mogli e concludono la giornata sprofondati nel loro divano perché, in fin dei conti, loro hanno lavorato tutto il giorno.
Ilse è sempre sorridente. Ma forse c’è ben poco da ridere dal momento in cui, come ha dichiarato la giornalista del Volkskrant Anna Breemer, la divisione dei lavori domestici e il coinvolgimento degli uomini nella gestione di una famiglia sono tra i maggiori problemi di genere. Non si tratta di chi passa l’aspirapolvere più spesso, ma dell’energia necessaria per essere il manager della propria famiglia. Talvolta prendersi cura di qualcuno richiede così tanta energia da non permettere di svolgere un altro lavoro: dai dati dell’istituto nazionale di statistica olandese (CBS), risulta che 211.000 donne e 12.000 uomini non sono in grado di lavorare a causa delle loro responsabilità di assistenza.
A seguire la giornata di Ilse rischiamo di farci venire un burn-out. Devono essere molte le donne che non riescono a conciliare l’assistenza ai propri famigliari e il lavoro, ma restano invisibili poiché le linee guida olandesi così come quelle internazionali considerano il burn-out una malattia legata solo al lavoro. Infine, non esistono studi sulle differenze tra uomini e donne in materia. Non si sa, per esempio, se esistano differenze dal punto di vista biologico poiché il corpo maschile è ancora considerato lo standard ma, dal momento in cui dalle donne ci aspettiamo delle prestazioni diverse, non è ingiustificato che il loro corpo reagisca in modo diverso.
Questa disparità è stata segnalata anche dall’associazione WOMEN Inc, che ha recentemente lanciato una campagna rivolta ai 9 milioni di olandesi che ogni giorno svolgono funzioni essenziali al vivere comune senza ricevere alcun compenso. Senza queste persone il Paese fallirebbe, ed è per questa ragione che in una recente lettera aperta WOMEN Inc. ha fatto notare a Mark Rutte come sia incomprensibile che le norme sociali e le politiche siano focalizzate unicamente su chi svolge un lavoro remunerato.
Nello spot Ilse dice “Ho il più bel lavoro di tutta Olanda” e, anche se sembra esagerato, capiamo che è felice di svolgere anche un lavoro per il quale è prevista una remunerazione, anche se la differenza salariale si porterà via parte del suo stipendio. In sostanza, fa notare la blogger Aardema, si tratta davvero di un ottimo spot perché fa vedere in modo molto realistico la situazione che moltissime donne si trovano a gestire. Purtroppo, però, probabilmente pochi lo troveranno offensivo.