Traduzione: Martina Bertola
Se c’è una cosa che questa pandemia sta mettendo brutalmente in evidenza è che ancora una volta a soffrire maggiormente questa situazione sono le fasce più deboli della popolazione. Di questo argomento tratta l’articolo di opinione di Lieke Wissing per l’Het Parool.
Questa crisi sanitaria colpisce i gruppi più emarginati, scrive la giornalista. Lo scorso fine settimana, il comune di Amsterdam ha annunciato nuovi rifugi per i senzatetto. Una misura responsabile per contenere la diffusione del virus. Tuttavia questi rifugi supplementari sono a disposizione solo per la notte. Durante il giorno, sul sito del comune, si legge che il consiglio ai senzatetto è di rimanere all’aperto il più possibile. A differenza del virus, si consiglia loro di diffondersi in tutta la città.
Un paradosso, evidenzia la Wissing, da una parte Rutte chiede di mantenere norme come la distanza sociale, l’isolamento domestico e l’igiene, definendo antisociale chi non le applica, senza tener conto che gli abitanti privi di casa non possono seguirle.
Nel frattempo, continua, slogan di solidarietà ci risuonano nelle orecchie: “Insieme gli uni per gli altri”; “Solo insieme possiamo controllare il virus”. Per quanto paradossale, insieme non sembra essere un termine inclusivo. Chi appartiene al collettivo a cui è rivolto questo appello? Apparentemente non i senzatetto, i giovani senzatetto o i migranti privi di documenti; a causa della mancanza di una casa, la loro emarginazione è ad oggi peggiorata.
Sami, che vive e lavora ad Amsterdam da otto anni, ha raccontato alla Wissing che sente di non essere precipito come una persona dal consiglio comunale. Ora dorme con un gruppo relativamente piccolo di venti persone prive di documenti in un luogo auto-organizzato che non è attrezzato per essere abitabile.
Questo è un problema che riguarda migliaia di persone a livello nazionale che vivono per strada. Se si vuole contenere il virus non si può ignorare che queste persone fanno anche parte della nostra società. La Wissing incalza puntando il dito contro il sistema che, grazie a questa crisi sanitaria, ha dimostrato di essere marcito da tempo. La crisi ai margini della società è strutturale.
Chi cerca di porre rimedio a questa situazione sono luoghi come chiese o fondazioni, spesso gestite da volontari. Queste situazioni, pur se encomiabili, non dispongono spesso delle risorse necessarie o del background professionale desiderato. Ora, come sottolinea la giornalista, oltre agli altri problemi si aggiunge anche un alto rischio per la propria salute. Eppure questi volontari preferiscono aiutare, invece che stare a guardare e vanno a cercare di trovare soluzioni laddove le autorità stanno fallendo durante questa pandemia.
L’accesso all’acqua e alla corrente elettrica è un problema che va oltre l’emergenza attuale. Questa crisi non ha fatto altro che portare alla luce quanti problemi ci siano relativi alla crisi quotidiana di persone prive di un’abitazione. Nei campi profughi in Europa, scrive Wissing, la catastrofe umanitaria dura da ani. La situazione è una patata bollente politica da parecchio tempo sulla quale tutti noi, come comunità, abbiamo chiuso gli occhi.
Un virus infettivo, conclude la giornalista, rende queste vite al margine ancora più a rischio, se possibile. Per un virus, queste sono persone come tutti gli altri, nessuna eccezione viene fatta per loro. Ironia della sorte, il Covid-19 ci insegna una lezione sull’umanità da questo punto di vista.