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Il cinema visto attraverso la lente del Rinascimento italiano

CoverPic:@Jeremy Yap by Unsplash

È possibile studiare il cinema degli albori per comprendere quello di ora? Patricia Emison, nel suo libro Moving Pictures and a Renaissance Art History, appena pubblicato dall’Amsterdam University Press, ha un’intuizione. C’è un modo per leggere il passato della storia del cinema, ed è il suo straordinario rapporto con il Rinascimento italiano.

Il “bello” come collettore di arti

Esiste quindi un filo che collega Ingmar Bergman al Vasari? Probabilmente il cuore di questa somiglianza sta nel concetto del “bello”. Infatti, così come la capacità di trascendere il bello era essenziale per l’arte, allo stesso modo lo era per i film. Tanto da far dire a Michelangelo Antonioni che: “forse siamo gli ultimi a produrre oggetti tanto apparentemente gratuiti come lo sono le opere d’arte”.

Anche se rappresentare il bello nel cinema non vuol dire sempre creare il dramma. Il cinema di comicità è infatti uno specchio che non va sottovalutato. È fin troppo vero che la commedia permette di esporsi in una più spinosa critica della società. Una denuncia celata tra risa e scherzi. Un’ambiguità quindi, o meglio, un’ambivalenza che si rivede anche nelle pitture religiose. Si mostra in quei sorrisi della figura della Madonna, rivolta a Gesù bambino, che raccontano struggimento e dolcezza al tempo stesso. Proprio come i famosi sorrisi di Leonardo, rappresentativi di “tutta l’esperienza del mondo” (da Walter Pater, 1869).

Il cinema tra immagini e domande

A partire dall’idea stessa di immagine, Emison compie una disamina del presente. Essa ha spesso costituito un ruolo ancillare rispetto alla parola. L’immagine ne era subordinata: permetteva di completare, ma non sarebbe mai potuta essere indipendente. La rivoluzione avvenne nel momento in cui si parlò di meta-testo. Ciò che si vedeva poteva perciò trasporre un significato a sé stante. Il cinema dette la scossa finale: l’immagine divenne linguaggio. Ovvero essa costituiva un codice di espressione che non prevedeva necessariamente l’uso della parola.

È con queste premesse che si può tentare di rispondere alla domanda: Come le immagini in movimento hanno cambiato la percezione dell’esperienza visiva? Non solo. Il volume si spinge oltre, indagando l’uso dei macchinari nel cinema e il loro ruolo nella creazione dell’arte.

Un’ultima domanda sorge, infine, a Emison e riguarda l’universo femminista. In un mezzo spesso progettato e concepito per essere rivolto alle donne, come la rappresentazione delle donne riflette i cambiamenti sociali? E riesce a farlo veramente?

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