di Monica De Astis
Tutti possono essere riconosciuti come vittime di violenza e schiavitú sessuale in un conflitto internazionale, anche chi fa parte della stessa organizzazione armata oppure, in senso lato, della stessa fazione di chi ha commesso il crimine. Lo ha stato stabilito a Den Haag la sesta Camera giudicante della Corte Penale Internazionale (CPI/ICC), nell’ambito del processo che vede imputato l’ex ufficiale della Repubblica Democratica del Congo Bosco Ntaganda, per crimini di guerra.
Già vice-capo dello staff generale della FPLC, Patriotic Force for the Liberation of Congo, è accusato di ben 13 tipologie di crimini di Guerra, tra cui il reclutamento di bambini soldato sotto i 15 anni per l’impiego in conflitti armati, violenza sessuale, riduzione in schiavitú di civili, e di 5 tipologie di crimini contro l’umanitá.
La decisione del tribunale, respinge la tesi della Difesa che invocava la carenza di giurisdizione della Corte: secondo gli avvocati, infatti, in base alla Convenzione di Ginevra del 1949, quando le vittime sono militari non si potrebbe parlare di crimini di guerra. L’ICC, quindi, secondo non avrebbe nemmeno giurisdizione sui crimini di violenza e schiavitú sessuale perpetrati sui bambini soldato.
Il Tribunale, però, la pensa diversamente. Come si legge nelle conclusioni: “non si possono di per sè escludere tra le potenziali vittime di crimini di guerra membri delle stesse forze armate di cui fanno parte i criminali”. Per l’ICC, la protezione del diritto umanitario internazionale contro la violenza sessuale nel contesto di un conflitto armato, non può limitarsi solo a certe categorie di persone. Per i giudici, lo stupro non è mai giustificabile, indipendentemente dal ruolo che la vittima ha all’interno di un conflitto armato.
La decisione rimane comunque di carattere giurisdizionale, e riguarda solo ed esclusivamente l’autorità della Corte a giudicare Ntaganda sui due specifici capi d’accusa (stupro e schiavitú sessuale), senza entrare nel merito del processo.