di Massimiliano Sfregola
Per la comunità turca è arrivato il giorno della verità. Dopo un’escalation durata mesi la Turchia si trova ad un bivio: gettarsi, ora ufficialmente tra le braccia di Erdogan, approvando tacitamente il pugno duro usato da tempo contro stampa, accademici e opposizione giustificato dalla caccia ai responsabili del fallito golpe di luglio. Oppure respingerlo ed aprire una stagione di grande incertezza politica: il “sultano indebolito”, potrebbe alzare ulteriormente lo scontro con gli oppositori e questo per un paese già lacerato da una congiuntura economica non favorevole, da una lunga scia di attentati, dai conflitti interni e da quelli alla frontiera siriana, potrebbe essere un colpo troppo duro da attutire.
Ma la preoccupazione per l’esito del referendum non si limita ai turchi in Turchia ma si estende anche a quelli all’estero. Dei turco-olandesi si è parlato molto nelle ultime settimane, soprattutto per la tragicomica visita governativa a supporto di “Hevet” (si) conclusa con due ministri turchi cacciati dai Paesi Bassi. Anzi no: un solo ministro cacciato, Kaya perchè l’altro, Çavuşoğlu, il suolo olandese non l’ha neanche toccato.
Ma i turchi residenti in Olanda sono ben diversi dai concittadini nati nei Paesi Bassi da famiglia turca e questi, a differenza degli altri, vivono con grande preoccupazione gli sviluppi a casa loro: “Io sono di sinistra e mi trovo in profondo disaccordo con le posizioni dell’APK [n.d.r. il partito di Erdogan]. Alle scorse elezioni AKP ha ottenuto il voto più alto in Europa proprio dagli elettori nei Paesi Bassi (70%) quindi penso proprio di essere lontano dalle posizioni del “Nederturk” medio”, dice Eray, ingegnere originario di Istanbul e da diversi anni trapiantato nei Paesi Bassi. Lui ha votato da “expat” al referendum e teme per le sorti del suo paese: ” Ho lasciato il paese nel 2009 e la situazione non era ancora precipitata: allora l’APK era un partito liberal-conservatore già al potere da 6 anni, ma concentrato soprattutto sulla favorevole congiuntura economica. La svolta autoritaria è arrivata nel 2013 con la repressione di Gezi park: da allora, è stata un’escalation senza fine“. Neanche in Olanda gli oppositori turchi sono al sicuro: “Un caro amico, docente all’Università di Amsterdam ha firmato il documento Academics for Peace, criticando il governo e chiedendo un cambio di rotta nella politica sul Kurdistan: ora è indagato dalle autorità turche e ogni volta che torna a casa vive nel terrore di essere fermato”.
Ayşe è una trentenne di Bursa, anche lei dal 2009 in Olanda: “Per le minoranze e per chi dissente, la vita in Turchia non è mai stata semplice”, racconta a 31mag. I turco-olandesi, secondo lei, non sono molto realisti sulla situazione: “Ho lavorato ai seggi allestiti ad Amsterdam per le elezioni del 2015 e del 2016 e posso dire che le opinioni di gran parte di loro si formano con ciò che ascoltano dai media mainstream turchi, ossia da mezzi di comunicazione schierati con Erdogan e con l’AKP“. Il rapporto tra i turco-olandesi e la Turchia, un legame stretto ma molto contradditorio è uno degli elementi che ha colpito maggiormente Ayşe, trasferita nei Paesi Bassi solo da adulta: “E’ strano il rapporto tra il governo turco e i turchi nati qui: da Ankara li chiamano la “nostra gente” perchè sanno bene quale potenziale elettorale rappresentino per il regime e nei Paesi Bassi, i “nederturks” contraccambiano dicendosi molto attaccati alla “madre patria” ma durante gli scontri al consolato di Rotterdam, tutti hanno sentito due manifestanti dire “tranquillo, non siamo in Turchia, la polizia non qui non può farci nulla”. Contradditorio, no?”. Eray e Ayşe concordano su un punto: il referendum non sarà una virata verso un regime autoritario ma il riconoscimento legale di una deriva in corso ormai da tempo.
A proposito del famoso documento a sostegno degli accademici, Aylin l’ha firmato: “Potrei sapere all’improvviso se quella firma ha avuto qualche ripercussione, magari quando atterrerò in Turchia la prossima volta”, ha detto a 31mag. Ricercatrice presso l’Università di Amsterdam non nasconde la sua preoccupazione: “I turchi in Olanda [gli expat turchi] vivono tutti un’enorme pressione a causa della situazione in corso: è stressante viaggiare verso casa, lo è sentire di colleghi e amici -soprattutto all’università- che hanno perso il posto solo perchè contrari al regime ma è un condizionamento anche non essere in grado di svolgere liberamente il proprio lavoro, senza pressioni”. Anche per lei vede un’enorme differenza con i concittadini nati in Olanda: “Con i supporter dell’AKPn, probabilmente quelli più lontani dalla Turchia ma anche i più nazionalisti“. Per Aylin, la politica turca è talmente polarizzata che i riflessi in contesti lontani possono produrre risultati grotteschi: “Conosco un Curdo-alevita, con passaporto olandese, che alle ultime elezioni politiche nei Paesi Bassi ha votato il PVV perchè Wilders è quello con le posizioni più radicali contro il nazionalismo turco dell’AKP. La situazione è piuttosto complessa”. Già, molto complessa. E da stasera la vita degli expat turchi potrebbe non essere più la stessa.