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Le case Magdalene, divenute tetramente ancor più celebri grazie alla canzone di Jone Mitchell e al film di Peter Mullan, erano istituti femminili che accoglievano le ragazze orfane, o ritenute “immorali” per via della loro condotta considerata peccaminosa o in contrasto con i pregiudizi della società benpensante.
Istituti del genere non esistevano però soltanto nell’Inghilterra e l’Irlanda del XIX e XX secolo.
Nei Paesi Bassi cinque donne, ex recluse dell’ordine cattolico delle Suore del Buon Pastore, hanno citato in giudizio le “sorelle” con l’accusa di lavoro forzato, riferisce NRC.
Le donne chiedono che siano finalmente riconosciuti gli abusi sofferti e che venga risarcito il denaro che è stato loro negato. L’ordine ha sempre rifiutato la richiesta sulla base del fatto che l’accaduto si è verificato in tempi lontani. Adesso spetta al tribunale decidere.
Generalmente – viene affermato nel documento – la prescrizione viene rispettata, a meno che il giudice non voglia considerare i traumi inflitti a queste donne come dati rilevanti nell’ambito dell’accusa.
È stato calcolato che nelle Magdalene Laundries irlandesi furono ospitate circa 30.000 donne nel corso dei 150 anni di storia di queste istituzioni. L’ultima Casa Magdalene in Irlanda è stata chiusa il 25 settembre del 1996.
Nei Paesi Bassi almeno 15.000 le donne che, tra il 1860 e il 1979 sono state forzate a lavorare nella lavanderie e nelle sartorie dell’Ordine delle sorelle del Buon Pastore. Quest’ordine religioso è presente non solo in tutta Europa, ma anche in Canada e Australia. Uno degli esempi più tristemente famosi è quello degli abusi avvenuti nella lavanderia della Maddalena in Irlanda.
Nei Paesi Bassi l’ordine gestiva delle strutture a Zoeterwoude, Almelo, Velp e Tilburg. In questi istituti sono state messe contro la loro volontà: prostitute, donne non sposate spesso orfane, ragazze disabili e ragazze ree di crimini minori.
Fino alla fine degli anni ’70 le donne erano sottoposte a ciò che veniva definito come “terapia del lavoro”, ma che era invece, spesso, lavoro forzato nell’industria tessile di cui beneficiavano gli ospedali, gli hotel, la Chiesa e le istituzioni governative. Nel 1933, per esempio, venne dato ordine alle suore di fare 40.000 divise per l’esercito. A Velp le ospiti dell’istituto si occuparono del corredo della defunta principessa Juliana.
Ma l’abominio non finisce qui: le donne erano anche soggette ad abusi sessuali, dure punizioni, e non avevano alcun diritto all’istruzione o all’assistenza medica.
Una ricerca indipendente dello scorso anno ha dimostrato che le donne sono state sottoposte a lavoro forzato anche secondo la definizione di lavoro forzato dell’epoca. Le cinque donne che hanno sporto denuncia avevano tra gli 11 e i 21 anni di età al tempo degli eventi, verificatisi tra il 1951 e il 1979. A difenderle in tribunale saranno le avvocatesse Liesbeth Zegveld e Brechtje Vossenberg.