di Martina Fabiani
L’identità, per quanto avvertita come la più intima e individuale delle consapevolezze, non può mai essere osservata in maniera diretta; per farla esistere si passa attraverso il filtro della rappresentazione, staccandola dall’individuo stesso per trasmettere non una verità, ma tante. Questo è il concept alla base del lavoro di Stéphanie Solinas, artista nata in Francia nel 1978, nelle sue serie Dominique Lambert/Le Pourquoi Pas?, in mostra al Foam di Amsterdam dal 24 febbraio al 16 aprile 2017. È con la precisione di un tecnico che si rivolge al suo oggetto di studio che Stéphanie si approccia alla fotografia. Quest’ultima, insieme a video e installazioni è il mezzo preferito dall’artista francese nella sua ricerca volta alla materializzazione di concetti astratti come l’identità, la memoria o i labirinti della mente.
Dominique è il nome neutro più comune in Francia e anche il ventisettesimo più popolare in assoluto; Lambert invece è il ventisettesimo cognome più usato. Dopo aver appurato l’esistenza di 191 Dominique Lambert in tutto il Paese, Stéphanie li ha contattati uno per uno, chiedendo loro di compilare un “Chinese Portrait”. Su 65 risposte, solo 20 hanno poi inviato alla donna un fototessera e sono coloro che compongono oggi la mostra. A partire dalle risposte ai test cinesi, sono stati realizzati una serie di ritratti basati su quello precedente e solo alla fine scattate foto a persone reali che assomigliassero al ritratto. Non una interpretazione, quindi, bensì molteplici: una catena di reinterpretazioni. “Mi interessa l’identità come fase di passaggio, creazione, perdita d’informazioni”, afferma l’artista durante una videointervista, girata per Carré d’Art – Musée d’art contemporain de Nîmes. Esposti al Foam i risultati dei “Chinese portraits” sono disposti lungo un corridoio bianco, ordinati prima di arrivare alla sala principale.
Con Le Pourquoi Pas? si è immersi subito in una grande stanza ricoperta da pareti blu notte, blu come i mari che circondano l’Islanda, terra che ha ispirato questo lavoro. Dai pannelli informativi che accompagnano lo spettatore alla comprensione della mostra, apprendiamo che durante un suo lungo soggiorno a Reykjavik, Stéphanie ha consultato esperti della mente, entrando in contatto con il soprannaturale, pur non essendo in grado di vederlo. Esposte nella stanza blu una serie di cianografie, strani oggetti, come diari e dita che servono all’artista per mappare la realtà cerebrale. Le immagini create da Stéphanie fanno subito balzare alla mente l’incredibile somiglianza tra le fisionomia dell’Islanda, quella di un cervello e perché no quella del cuore. Come si può intendere dal titolo, obiettivo dell’artista francese non è quello di provare o meno l’esistenza di qualcosa, ma di lasciare aperti gli interrogativi.