di Martina Bertola
Amsterdam è in piena crisi abitativa. Gentrificazione e turismo stanno piegando la città e Airbnb -insieme agli altri portali di prenotazione- sembra essere una delle cause principali.
In nome della share economy, la piattaforma di affitto on line dedicata a turisti che dovrebbero avere il privilegio di “vivere da local”, ha di fatto causato problemi evidenti in molte capitali europee e nel mondo. Dal rapporto con il vicinato, a un mercato immobiliare impazzito, fino alla concorrenza sleale con alberghi e proprietari di bed&breakfast, l’anima “pura” di Airbnb ha mostrato presto il suo lato oscuro.
Tra multihost, persone che hanno sul sito più di una casa, centri storici saturi di turisti e locals costretti ad andarsene perchè non possono più permettersi i prezzi del mercato e soprattutto pochi controlli e nessuna condivisione dei dati, sembra impossibile trovare una soluzione che concili lo spirito con cui è nata la piattaforma e quello che è diventata negli anni.
Alternativa etica
La sfida, invece, è stata colta da Fairbnb, un progetto nato con l’obbiettivo di creare un turismo sostenibile in grado di arricchire non solo i viaggiatori, con un’esperienza low cost sul territorio, ma anche le comunità stesse che aderiscono al progetto.
Nato nel 2016, Fairbnb è una cooperativa composta da persone che hanno investito una base di 100.000 euro per renderlo possibile. Tutta l’economia che gira intorno allo sviluppo della piattaforma è trasparente, compresi i conti e gli stipendi dei fondatori, perché trasparenza e condivisione dei dati sono uno dei punti forti di questo anti-Airbnb.
Dopo 3 anni di lavoro, il progetto è pronto a partire operativamente nel giugno 2019, per questo motivo è stata lanciata una campagna di crowdfunding. La cooperativa, infatti, ha deciso di rinunciare alla possibilità di grandi investitori per cercare di essere il più autonoma possibile.
Regole, utili reinvestiti, trasparenza
Per quale motivo, però, Fairbnb sarebbe così diverso dalla sua nemesi? Prima di tutto regole e controlli sono molto più rigidi. Non è possibile mettere in lista più di un appartamento (one house one host policy) e non si possono affittare più di due camere per volta se l’inquilino vive nella casa. Chi ospita dovrà adeguarsi alle regolamentazioni della municipalità e tutti i dati in possesso di Fairbnb possono essere condivisi con le autorità per assicurarsi che non vengano violate le norme.
Insomma lo scopo è quello di creare una comunità virtuale che corrisponda a una comunità reale, evitando l’effetto degli “albergatori fai da te”.
È impossibile pensare ad eliminarne il modello Airbnb, per questo motivo Fairbnb tenta di riprodurlo in maniera sostenibile per le comunità, cercando anche di indirizzare i turisti in zone delle città dove creano meno disagio. Il 50% delle spese d’affitto, poi, verrà sempre re-investito nella comunità ospitante tramite una donazione ad associazioni no-profit presenti sul territorio.
A prescindere dal risultato del crowdfunding il progetto è pronto per partire, le città pilota sono cinque Amsterdam, Barcellona, Bologna, Venezia e Valencia.