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Elfstedentocht, curiosità sulla gara su ghiaccio più pazza del mondo

11 città nella Frisia, nel nord dei Paesi Bassi, collegate da un non troppo sottile filo di ghiaccio di 199 chilometri. E migliaia di pattinatori – semplici appassionati ed ex campioni olimpici – pronti a sfidare l’ipotermia partendo alle prime luci dell’alba e sperando di scorgere il mulino di Leeuwarden il prima possibile. 300 agonisti e circa 16.000 dilettanti. La statua al pattinatore ignoto non ha nulla da temere rispetto alla posa fiera del monumento di Gagarin a Mosca. Verso l’ignoto e oltre.

Poche le regole: 15 centimetri di ghiaccio sull’intero percorso e la partenza comunicata 48 ore prima. Essere iscritti all’associazione omonima alla gara, ritirare un pettorale da 100 euro, collezionare i relativi timbri di passaggio in ogni checkpoint e finire prima di mezzanotte.

Questa è la gara delle undici città. O meglio era.

L’Elfstedentocht da tempo ormai non è più quella bizzarra festa che vedeva la partecipazione di migliaia di olandesi volanti tra fiumi di birra e fumate di pipa. Dalla prima edizione del 1909, antecedente quindi alle prime Olimpiadi invernali, al 1997 la gara è stata corsa solo quindici volte. Tempi, record e velocità medie sono molto relative. Il percorso è simile ma mai esattamente lo stesso: non pattinerai mai due volte sullo stesso canale!

Le donne partecipano da sempre solo tra le schiere degli amatori. Nell’edizione del 1912 Jikke Gaastra fu la prima donna in assoluto a finire l’Elfstedentocht, ma non poté completare il giro completo perché il ghiaccio non era abbastanza buono dopo Sneek. Una versione meno romantica racconta di come non sia arrivata entro il tempo limite, ma abbia ricevuto la medaglia a forma di croce (Elfstedenkruisje) perché aveva visitato tutte le undici città.

Nell’edizione del 1917 Janna van der Weg fu la prima donna a finire il percorso. Sjoerdje Venema-Faber fu la sola donna a tagliare il traguardo nel 1940, e lo fece ancora per cinque volte. Dal 1985 è permesso alle atlete di correre agonisticamente.

L’edizione più dura in assoluta fu quella del 1963, conosciuta come L’inferno del ’63: Su 10.000 partecipanti solo 69 riuscirono a finire la gara, a causa della tempesta di vento e delle temperature proibitive di -18. Quell’anno il vincitore Reinier Paping divenne un eroe nazionale, e il tour stesso entrò nella leggenda. Paping non riuscì a distinguere il traguardo perché alla fine della gara era cieco a causa della neve. Molti dei concorrenti avevano sintomi da congelamento, arti rotti e la vista menomata.

Nel 1986 anche l’attuale re olandese (all’epoca ancora principe ereditario) Willem-Alexander completò l’Elfstedentocht sotto le mentite spoglie di W.A. van Buren, essendo Van Buren uno pseudonimo tradizionale della casa reale.

L’attesa è essa stessa la gara

Da anni è un evento di risonanza mondiale proprio perché non si riesce più a disputare. Non lo si fa dal lontano 1997. L’attesa dell’Elfstedentocht è diventata essa stessa parte della gara: scivolose come il ghiaccio sono le previsioni meteo di chi ogni anno, a inizio gennaio, si lancia in arditi pronostici. Basta un refolo di inverno per far sperare un’intera nazione.

Bollenti da far scaldare gli animi, come tazze di cioccolato, sono le confessioni d’astinenza di chi – pattinatori professionisti e organizzatori – sa in cuor suo che quella gara probabilmente non si disputerà mai più.

Innovativi come le lame su cui si pattina dai tempi di Bruegel anche gli esperimenti di volenterosi ingegneri in erba che cercano – mischiando paglia al ghiaccio – modi per velocizzare e stabilizzare il formarsi di uno strato sufficiente a lasciarsi graffiare migliaia di volte. Tre giorni soltanto dovrebbe poter durare ma non si può barare: niente ghiaccio sintetico. Su questo gli olandesi non transigono. 

Ma la febbre delle undici città (Elfstedenkoorts) si ripresenta puntuale ogni anno e con essa la sua dose di antipiretica retorica. Nel 2012, un anno che sembrava promettere bene, Mark Rutte disse che “una volta ogni quindici anni il nostro paese non è governato dall’Aia ma da ventidue capi distretto in Frisia. E il nostro paese è in buone mani”. Purtroppo anche quell’anno la corsa alla fine saltò ma non lo stato di perenne eccitazione. La sera prima dell’annuncio ufficiale si dice che anche i “gelidi frisoni” si lascino andare nella Notte di Leeuwarden (Nacht van Leeuwarden). 

Sulla stampa di tutto il mondo la gara di pattinaggio su ghiaccio più pazza al mondo è stata analizzata in tutte le salse. In termini di costi-benefici, di sostenibilità ambientale, di capacità ricettiva della Frisia in termini turistici. L’ultima volta gli hotel registrarono il sold-out con quasi due milioni di visitatori.

D’ora in poi, le gare cugine che collegano sempre le undici città in bici e a nuoto o l’alternativa austriaca, è probabile che facciano le scarpe, o i pattini, alla sorella più anziana. A meno che non s’affacci una tardiva glaciazione.

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