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Daniel Arsham e i reperti archeologici di un futuro distopico

di Natalina Rossi

Daniel Arsham, arista contemporaneo americano, esplora i campi dell’arte, dell’architettura, della scultura, del design e del cinema. L’opera di Arsham ruota intorno all’idea di un’archeologia fittizia. L’eclettico artista, ossessionato dagli oggetti di uso comune della fine del 20esimo secolo, li trasforma in reperti archeologici di polvere solida – attraverso l’utilizzo di materiali quali roccia vulcanica, frammenti di ossidiana e vetro, minerali vari, e quarzo. 

Lo scontro tra il passato e il futuro è iconico e dematerializzante. Arsham sfida la percezione del mondo fisico e del tempo, mediante una visione distopica e paradossale. Si tratta di un viaggio dentro un mondo surreale in cui le superfici solide sembrano piegarsi, le apparecchiature e gli oggetti della modernità cambiano forma, trasformandosi in reperti del mondo antico – quasi come se potessimo staccarci dal tempo e catapultarci dentro un futuro prossimo. Una sorta di archeologia futurista che modifica il senso delle regole dell’universo esterno e ciò che è possibile all’interno – smembrando le leggi fisiche dei materiali che utilizza. Pareti elastiche con dentro sagome umane e orologi atemporali, sfidano le leggi dell’architettura e la percezione che si ha di essa. 

Lo spettatore entra dentro mondo mitologico in un futuro distopico eppure invecchiato, e polveroso. Palloni di diverse dimensioni e palline da tennis, spogliate dalla loro esistenza contemporanea, appaiono come antichi elementi naturali di una caverna. Ricoperti di polvere color ametista viola creano un ambiente filosofico ed iconico. Le sfere utilizzate per la composizione di questo spazio architettonico ai limiti della realtà, perdono la propria dimensione. Come se la forma smettesse di avere un suo preciso valore materiale. Tutto si perde dentro l’immaginazione e in una caverna con sembianze oniriche. Il tempo passa e tutto si disperde dentro spazi sotterranei, sotta la superficie delle cose visibili, come se non fossero mai esistiti. O meglio, come se il tempo li avesse consumati e ributtati in un mondo sotterraneo e immateriale. 

La creazione di un universo irreale, potentissima in termini estetici e immaginifici, potrebbe essere stata influenzata da un evento drammatico per l’artista. Arsham era, infatti, presente quando l’uragano Andrew colpì e distrusse la sua casa nel 1992.

Distruzione e modificazione irreversibile della realtà circostante. Come l’erosione naturale degli oggetti contemporanei. Niente può sfuggire alla forza creativa e distruttiva della natura. E il tempo diventa una mera illusione di immortalità.

Così, nella mostra di Daniel Arsham “Connecting Time” in esposizione al Moco Museum di Amsterdam fino al 30 settembre 2019, il tempo perde la sua consistenza. Davanti alle sue opere smettiamo di essere umani del presente, e diventiamo spettatori della nostra vita da un futuro prossimo. 

È un’esperienza incredibile, non perdetevi questo viaggio tra passato, presente, e futuro.


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