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Da Marx agli indipendentisti catalani: perchè il Belgio è un paradiso per dissidenti in fuga?

di Miriam Viscusi

Joxemai, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

C’è ancora bisogno di chiedere asilo politico per le proprie idee? Nell’Europa del 2020 sembrerebbe di no, ma basterebbe osservare i procedimenti aperti in Spagna per reati di opinione e al contempo la pessima nomea che la penisola iberica si è guadagnata in passato per una certa lentezza nell’indagare criminali comuni che vi cercavano rifugio, ” tanto da essere stata ribattezzata dalla stampa del nord Europa “Costa del Crime”.

Belgio paradiso degli esuli europei: il primo fu Marx

Quando si pensa a rivoluzionari e dissidenti in fuga, il primo Paese a venire in mente è la Francia: già dalla  seconda guerra mondiale la maggior parte dei dissidenti intellettuali o politici si rifugiava a Parigi. E in seguito, grazie alla dottrina Mitterrand, è stato garantito un rifugio nel paese anche a personaggi in fuga per reati legati al terrorismo.

Oggi a ospitare il più alto numero di dissidenti e rifugiati politici è il Belgio, e no, l’UE non c’entra: la particolare situazione politica del paese, letteralmente tagliato a metà sulla linea delle sue comunità linguistiche, una lunga storia di conflitti interni e il nazionalismo fiammingo molto vocale, hanno reso la nazione molto sensibile alle opinioni politiche dissidenti.

In Belgio, il Commissariat Général aux Réfugiés et Apatrides (CGRA) definisce legittima la concessione dell’asilo in due casi. Il primo, quando la persona fugge perchè perseguitata per “nazionalità, etnia, convinzioni politiche o religiose o appartenza a un particolare gruppo sociale”. Il secondo, se il rifugiato rischia “seri rischi” al ritorno in patria. La Commissione belga non è diversa da quella di altri Paesi ma la questione dei dissidenti è presa molto a cuore: oppositori del regime di Erdogan, indipendentisti catalani e in  passato dissidenti delle dittature latinoamericane. Addirittura, scrive Europa Today, è stata in passato il rifugio di Karl Marx per tre anni, quando era  troppo rivoluzionario anche per i francesi.

La vera anomalia è un’altra: il Belgio è l’unico paese UE che accetta formalmente le richieste d’asilo da altri paesi UE. Questo ha fatto sì che negli ultimi quarant’anni affluissero nella capitale e dintorni membri dell’IRA, della ETA e della RAF (Rote Armee Fraktion). Il Belgio si è così trasformato nel “porto sicuro” dei rifugiati politici. Fino alla vicenda molto discussa del presidente catalano Puigdemont.

Estradizione e mandati di cattura

Nell’Unione Europea si dà per scontato che tutti i Paesi abbiano gli stessi standard in fatto di diritti fondamentali e che li rispettino più o meno allo stesso modo. Fin da quando l’UE si chiamava CEE, nessuno ha mai pensato ci fosse bisogno di chiedere asilo da un Paese dell’Unione all’altro. Anche perchè la libera circolazione degli individui permette di trasferirsi nell’area Schengen senza richieste ufficiali” come quella d’asilo. Anche gli standard di polizia sono simili, per cui è difficile che un ricercato in un Paese possa smettere di esserlo solo spostandosi in un altro. Soprattutto dopo il 2001 e l’istituzione del mandato di cattura europeo.

Ma a proposito di questo mandato, la legge belga che lo recepisce ha garantito una certa autonomia a Bruxelles (belga, non UE): l’estradizione non può essere concessa per reati che non vengono riconosciuti dall’ordinamento del Paese. E nel caso degli indipendentisti catalani,  i reati contestati dai giudici di Madrid non sono crimini in Belgio.

Puigdemont e altri spagnoli

Proprio con il caso Puigdemont il Belgio ha sfiorato l’incidente diplomatico con gli spagnoli, poi evitato grazie alla mediazione dell’ex premier Charles Michel.

Puigdemont, dopo il caso del referendum catalano, venne “invitato” dall’allora sottosegretario di Stato all’asilo e all’immigrazione belga Theo Francken che  aveva espresso solidarietà: “I catalani che si sentono politicamente minacciati possono chiedere l’asilo in Belgio. È totalmente legale“. Francken si riferiva proprio al funzionamento della giustizia belga. Puigdemont alla fine non chiese l’asilo, ma a  maggio 2019 è stato eletto europarlamentare la carica che gli ha garantito l’immunità ed evitato l’estradizione, anche se con molti cortocircuiti burocratici. Lo stesso si è verificato per Toni Comin, un altro organizzatore del referendum ed ex ministro catalano alla salute. Non altrettanto fortunato è Oriol Junqueras, ex vice presidente della Catalogna, che ha ricevuto una condanna di 13 anni in Spagna ed è attualmente in carcere.

Un’altra presunta affiliata del gruppo basco, Natividad Jáuregui, ha vissuto a Gent per quasi vent’anni. La Spagna ha tentato varie volte di farla estradare ma ha sempre perso, fino a settimana scorsa. E ci sono molti altri cittadini spagnoli che vivono come rifugiati politici in Belgio: ultimamente il governo, confondendo libertà d’espressione e reato d’opinione, ha condannato diversi artisti e attivisti. Molti sono proprio a Gent, al sicuro dall’estradizione. Tra questi il rapper Valtònyc, accusato di vilipendio, incitamento alla violenza e apologia di terrorismo per alcuni brani delle sue tracce rap.

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