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Crisi d’identità alla turca

di Massimiliano Sfregola e Ceren Tunali
versione in italiano: Massimiliano Sfregola

Nel quartiere di Jordan, ad Amsterdam, tra strade strette, trendy outlets e negozi pieni di scadenti gadget per turisti, i fastfood che offrono specialità ‘etniche’ sono parte integrante dell’arredo urbano. Per turisti e residenti, kebab o baklava sono voci della dieta postalcolica dei weekend ma tra quei risicati metri quadrati di ristoranti e friggitorie arredati in maniera frugale, ogni giorno, gruppi di uomini di ogni età bevono senza sosta tè, chiacchierano e guardano le news dei canali turchi.

Perse nel grande tritacarne di identità della capitale, le piccole enclavi di cultura turca, incastonate nella quotidianità olandese e nell’odore forte dell’agnello speziato, rimangono le testimonianze sottovoce della presenza di una comunità che ha scritto un pezzo della storia olandese del dopoguerra.

Dei turchi d’Olanda non si è mai parlato molto, a differenza dei loro concittadini in Germania, eppure i primi rappresentano nei Paesi Bassi la terza minoranza più rappresentativa: secondo dati dell’istituto di statistica CBS sarebbero 400mila i residenti con passaporto della mezza luna e circa 300mila sarebbero gli olandesi di origine turca. Cifre importanti ed un grande radicamento associativo sul territorio, che conta moschee e centinaia di istituti di cultura; una vera e propria nazione nella nazione olandese molto ben rappresentata nello spazio pubblico da politici nazionali, artisti, sportivi ed intellettuali.

Secondo un’indagine della ricercatrice Gönül-tol i turco-olandesi mostrerebbero un grado più elevato di integrazione rispetto ai connazionali (e discendenti) residenti in Germania in larga parte, dice la ricerca, grazie alla tradizionale tutela garantita alle minoranze nei Paesi Bassi. Un quadro, in apparenza, roseo che negli ultimi anni ha subito un pesante deterioramento con l’ondata di islamofobia e di sentimento anti-straniero condiviso da una fetta consistente della popolazione.

A partire dall’omicidio di Pim Fortuyn in poi, la propaganda xenofoba di Wilders ha aperto una crepa alla via olandese al multiculturalismo, facendone emergere le contraddizioni; un processo di revisione che ha coinvolto anche la minoranza turca, ovvero la più numerosa comunità musulmana del paese.

Zihni Özdil, accademico ed opinionista del quotidiano NRC è categorico: “Penso che l’Olanda abbia un serio problema di segregazione: la situazione è peggiore qui che in Turchia. Mio nonno arrivò 50 anni fa, io sono nato nei Paesi Bassi ma nessuno da queste parti mi chiamerebbe mai olandese”. Secondo Özdil il multiculturalismo è un concetto vecchio: se la gente non crea problemi, ognuno può stare per fatti suoi, si diceva. “Ma ormai non funziona più”, secondo l’opinionista dell’NRC già negli anni ’60, considerati il periodo d’oro della tolleranza, il benvenuto ai gastarbeider altro non era che una finzione, “Ci hanno fatto credere per anni che gli olandesi arrivassero in massa ad accogliere i lavoratori stranieri alle stazioni. Ma la verità era ben altra: nel 1971 scoppiarono vere e proprie rivolte e gli hotel dove alloggiavano gli immigrati vennero dati alle fiamme. Moltri rischiarono addirittura il linciaggio.”

Hurriyet, 1972
“Ferocia in Olanda, lavoratori turchi picchiati”

Secondo lo scrittore, “la questione principale di oggi è che i giovani di origini turche non si considerano olandesi”; il risultato di questa distanza, sarebbe quella che lui stesso considera una segregazione fisica e culturale. “Spesso, all’università, chiedo loro quali ambizioni abbiano per il futuro. E sai cosa rispondono? Vorrei tornare in Turchia”, Özdil ride, “Tornare? Ma se sei nato qui rispondo di solito. Alcuni provano, rimangono delusi e poi tornano in Olanda. Ce l’hanno con casa loro e finiscono per idealizzare quella dei nonni.” L’identità sociale delle seconde e terze generazioni di immigrati in Europa è un tema centrale nel dibattito odierno ma dopo l’11/9 l’atteggiamento di tolleranza degli olandesi nei confronti delle minoranze, soprattutto di quelle musulmane, è mutato; il successo del PVV di Wilders e dei movimenti nazionalisti è un preoccupante segnale di declino del multiculturalismo.

Mehmet Ulgen, un giornalista olandese nato in Turchia, segue da anni le vicende della sua comunità. Secondo lui, la discriminazione è un problema nei Paesi Bassi ma la questione non si esaurirebbe li: “Quella turca è una comunità chiusa”, dice Ulgen, “La prima generazione ma anche quelle successive, sembra quasi non vivano in questa società: fanno acquisti solo nei negozi turchi, guardano la tv turca e non sembrano interessati al mondo che li circonda. Anche se, in parte è normale”, prosegue il giornalista, “non possiamo pretendere che la prima generazione sia perfettamente integrata dato che è ‘stata portata’ qui. Selezionatori del personale si recavano in Turchia e sceglievano la manodopera ma si preoccupavano solo della condizione fisica, controllando persino lo stato di salute dei denti, ignorando tuttavia il fatto che molti fossero analfabeti.”

Come racconta Ulgen, i gastarbeider venivano catapultati da una realtà rurale a quella industrializzata olandese, senza qualifiche, senza famiglia e con la sola speranza di tornare presto a casa. I mesi, però, diventavano anni e la condizione temporanea si trasformava in permanente: mogli e figli, a quel punto, raggiunsero i capofamiglia nei Paesi Bassi. Ma la recessione economica degli anni ’80 si abbattè con più durezza sui nuclei familiari non nativi dove la conoscenza dell’olandese era scarsa e le esperienze spendibili sul mercato del lavoro poche. “Alcuni vivono da allora con sussidi statali, mentre i più abili e fortunati hanno investito i risparmi in ristoranti e piccole attività commerciali a conduzione familiare per garantire un futuro ai figli”, chiosa il giornalista.

E questa situazione ha lasciato il segno sulla percezione sociale che hanno di sé i turchi di seconda e terza generazione “Tutti hanno colpe in questa vicenda”, continua il giornalista, “il governo, per aver ridotto il problema ad una questione linguistica e lo Stato turco per la sua eccessiva invadenza. La fondazione Diyanet, ad esempio, ha un collegamento diretto con Ankara e gli imam, che in Turchia sono funzionari civili e vengono inviati direttamente da lì. Questa situazione rappresenta un enorme ostacolo per un processo di integrazione compiuto.”

Nazionalisti turchi manifestano ad Amsterdam

Lo stretto legame tra le organizzazioni della mezza luna e la sua comunità di riferimento è diventato, lo scorso anno, un caso politico: due parlamentari di origini turche, Selçuk Öztürk e Tunahan Kuzu, eletti alla camera olandese nelle liste dei laburisti (Pvda) lasciarono il partito in protesta con il ministro per gli affari sociali Lodewijk Asscher.

Il motivo? Asscher aveva inserito quattro associzioni islamiche turche, nella lista di organizzazioni da monitorare in funzione antiradicalizzazione. “La Chiesa cattolica è diretta dal Vaticano perchè per il governo questo non rappresenta un problema?” dice Öztürk a 31mag “ Si tratta di organizzazioni ufficiali, note alle autorità olandesi, con le quali il governo intrattiene rapporti. Noi auspichiamo maggiore trasparenza da parte di queste associazioni e vorremmo che le istituzioni utilizzassero questo contatto per raggiungere meglio la comunità”, prosegue il parlamentare, “se il nostro obiettivo è che la gente non si radicalizzi, il dialogo con loro è fondamentale”.

Ma la questione non riguarda solo l’Islam: il governo olandese ha alzato di recente l’allerta sugli obiettivi sensibili curdi per timore che le tensioni tra I nazionalisti turchi e il PKK esplodessero in terra d’Olanda. D’altronde alle ultime elezioni in Turchia hanno potuto votare anche i residenti all’estero e quelli nei Paesi Bassi hanno scelto in massa l’AKP di Erdogan a riprova che il nazionalismo, nella comunità turca-olandese, è un sentimento che va ben al di là del tifo per il Galatasaray e delle specialità culinarie. “Sono nato ad Istanbul, cresciuto qui e da 3 anni siedo alla Tweede Kamer” dice Tunahan Kuzu “quando si parla di noi si dice i ‘deputati turchi’ ma noi rispondiamo sempre che qui non siamo ad Ankara ma al parlamento di Den Haag”.

Eppure Kuzu ammette che non è solo questione di passaporto: “La comunità turca è molto legata alle sue origini e la cultura condivisa ha un peso di gran lunga maggiore della religione. D’altronde con l’aumento dell’islamofobia è comprensibile che la comunità si identifichi maggiormente con la Turchia. “È importante però ricordare che la situazione sta cambiando rapidamente: le nuove generazioni sono meno legate alle attività dei genitori, hanno un’istruzione e tra loro molti riescono ad ottenere importanti successi nella società olandese”, conclude il politico.

Stretti tra le contraddizioni e la sicurezza della terra d’adozione dei genitori e il mito di quella lontana dei nonni, i turchi d’Olanda cercano ancora la loro dimensione.

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