di Enrico Zin | Photos@ Giuseppe Menditto
Lo scorso weekend si è svolta la quarta edizione del Butoh Festival organizzato ad Amsterdam dal Teatro Munganga.
Nonostante le limitazioni imposte dal Covid abbiano impedito ad alcuni artisti di essere presenti, la manifestazione – organizzata da Ezio Tangini – ha visto comunque alternarsi sul palco danzatori provenienti da tutto il mondo con una buona partecipazione di pubblico che ha riempito il piccolo teatro durante le performance che si sono susseguite nei due giorni dell’evento.
Dalla lotta violenta tra nascita e morte in Dead Zone di Luan Machado alla delicatezza delle forme in Juju Alishina e alla ricercatezza coreografica di Lorna Lawrie in Periple, uno studio sul potere del corpo post-mortem a partire da quello imbalsamato di Eva Perón, l’attenzione del pubblico è sempre stata massima.
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Il corpo dipinto di bianco, le smorfie grottesche ispirate al teatro classico giapponese, la giocosità delle performance, l’alternarsi di movimenti estremamente lenti a convulsioni frenetiche sono alcuni degli elementi estetici maggiormente riconoscibili di una forma artistica nata in Giappone negli anni ’50 e ispirata al movimento Ankoku-butō (danza tenebrosa). Da allora, la filosofia del Butoh si è estesa nel mondo della danza internazionale con festival e workshop organizzati in tutto il mondo.
Nel Butoh, i danzatori possono passare da movimenti lenti, ipnotici, al limite dell’immobilità corporea a versi animaleschi, gesti sincopati, cadute improvvise e scoordinate.
Il corpo può essere agito dall’artista come una sovrastruttura che gli è estranea, lo avvolge all’impovviso e non (ancora non) gli appartiene. Da questa interazione può nascere un rifiuto, una lotta per liberarsi della carne o può subentrare il desiderio di conoscere, di farne esperienza e renderla propria.
Le danze veloci, i movimenti caotici, i versi primitivi possono far pensare a un’entità che combatte instancabilmente contro forze ctonie ma potenti, mentre i gesti lenti, brevi ed eleganti riportano a corpi che ne vengono condizionati lasciandosi trasportare senza opporre resistenza.
E ancora, ballerini nudi che si dibattono come entità che si affacciano alla vita sfogando tutta loro energia in una lotta per esistere, in una sorta di metafora della nascita, momento di disordine concitato, intriso di sofferenza ed energia oppure lento, delicato, etereo, un venire al mondo per esserne subito accolto, immesso dolcemente nel flusso.
Ma le interpetazioni possono andare ben oltre le impressioni immediate prodotte dalla persona in scena e farsi metafora di rapporti o conflitti ben più profondi come quelli tra natura e cultura, dentro e fuori, reale e irreale.
Come in ogni performance, il pubblico gioca un ruolo importante nel partecipare alle emozioni che vengono trasmesse. Il Butoh unisce il danzatore e lo spazio in cui avviene la danza, il corpo è il luogo di questo incontro e il mezzo con cui rende partecipi gli spettatori.
Il Butoh è creazione di spazio e tempo, una scoperta del sé interiore che si fonde con la necessità di performare, mostrare al pubblico il risultato di un processo in poco più di una decina di minuti.