di Greta Melli
Storia: la nostra certezza, il nostro porto sicuro. Chiunque studi l’antico concepisce la storia come parametro oggettivo, qualcosa su cui possiamo concederci il lusso di non dubitare. Anzi, sembra essere una delle poche certezze su cui contare. Immaginate infatti una storia soggettiva: non è più storia ma favola, racconto o mito. Se invece non fosse così? Se i confini di storia e oggettività venissero lesi, o se guardassimo invece alla storia considerando la variabile del tempo e dell’evoluzione del pensiero umano, potremmo sempre essere oggettivi? E possiamo, soprattutto, fidarci della storia?
Si dice che siano i vincitori a scriverla, ma prepariamoci a metterci in discussione. Cosa ne è delle vite dei deboli, di chi è sfruttato, o semplicemente di chi è stato (volontariamente) dimenticato? E cosa accade quando a voler riscrivere la storia non sono i vincitori ma i vinti?
Nel caso del colonialismo, ancora oggi, sfumature e sfaccettature sono troppe per poter attribuire al passato coloniale il titolo di “oggettivo”, soprattutto quando le battaglie per l’affermazione di dignità e diritti umani sono ancora in corso.
Ne è un esempio la storia di Eva Krotoa, nome a che ai molti non dirà nulla. Eppure, pensate, oggi il popolo sudafricano si batte perché l’aeroporto di Città del Capo porti il suo nome. Ma Krotoa, è stata “dimenticata” dal corso degli eventi per due secoli e mezzo.

Ena Jansen, professoressa di letteratura sudafricana presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Universiteit van Amsterdam, ha pubblicato, nel 2019, Like Family: è uno dei casi in cui la letteratura cerca, ma soprattutto vuole, fare la differenza, volendo dare giustizia e dignità a chi non ne ha, o a chi è stata tolta.
La Jansen ha scritto la prima edizione di Like Family in afrikaans: “Si tratta della mia lingua madre, la seconda lingua ufficiale in Sudafrica dopo l’inglese. Volevo che il gruppo di persone a cui appartengo fosse il primo a vedere cosa ho trovato negli archivi della Letteratura Sudafricana. L’afrikaans è lingua ufficiale solo dal 1925 – dice la professoressa Jansen a 31mag – e ha alle spalle una letteratura molto importante”.
Eva Krotoa occupa un posto di rilievo negli studi della Jansen; a lei ha dedicato la sua prima lezione all’UvA, e la prima parte del suo nuovo libro. Tuttavia, raccogliere informazioni sulla sua vita non è stato facile: di lei sappiamo che servì come domestica la famiglia Van Riebeeck, intorno al 1650. La sua straordinaria dimestichezza con lo studio delle lingue ha fatto sì che imparasse in breve tempo l’olandese (e non solo), facendo da interprete tra i colonizzatori e i Khoi, il suo popolo.
Ma l’unica fonte su Krotoa è proprio il diario dell’olandese Van Riebeeck: “Deve aver avuto dieci anni all’arrivo di Van Riebeeck, quindi possiamo collocare la sua nascita intorno al 1642. Van Riebeeck, nei suoi diari, le attribuisce il ruolo di tata ma anche di interprete tra la comunità locale e quella olandese. Vivendo in Sudafrica, ho notato molte di queste figure intermedie. Per quanto riguarda Krotoa, la gente l’ha usata come una specie di simbolo, manipolando storie su di lei, spesso denigrandola come donna caduta. Io ho cercato di sottolineare quanto fosse forte in realtà. Dopo la morte di suo marito, è rimasta sola con tre figli. È molto triste pensare a come si doveva sentire in quella situazione”.
Quello di Krotoa fu il primo matrimonio interrazziale all’interno della comunità: il marito proveniva infatti dalla Scandinavia. Si sposarono in chiesa e la stessa Krotoa, prima donna indigena locale ad essere battezzata, venne sepolta in chiesa con rito cristiano. Questi fatti sono noti negli archivi, ma la tradizione cercò di screditarla, dando di lei l’immagine di una donna fin troppo liberi nei suoi usi e costumi: “Nei diari, Van Riebeeck poteva scrivere quello che voleva: dobbiamo sempre ricordare che il diario non è esattamente la verità. Ma è interessante è che citi Eva un paio di volte, e letteralmente. E questo gli assicura una maggiore credibilità, perché probabilmente, così facendo, rispettava la sua opinione”.

I due coniugi vivevano sotto la protezione della famiglia olandese: “La sua vera caduta è avvenuta dopo la partenza di Van Riebeeck, nel 1662. Penso che afrikaner e bianchi sudafricani usassero la figura di Eva per sottolineare l’inferiorità dei neri e dei Khoi. Solo recentemente, e in particolare nel periodo post-Apartheid, è stata riconosciuta la sua importanza, in quanto interprete, in quanto donna, in quanto figura intermediaria tra due culture completamente diverse.
Dopo l’Apartheid, i bianchi hanno cercato di abbracciare la loro eredità. Krotoa è antenata di molti sudafricani; oggi, viene celebrata come la prima madre interculturale di questo paese, e noi siamo orgogliosi di essere i suoi discendenti”.
Tuttavia, come si spiega la sua assenza in qualsiasi altro tipo di fonte per due secoli e mezzo? “Era una figura scomoda per moltissimi bianchi sudafricani che hanno sangue misto. La schiavitù iniziò nel 1658, così le donne schiavizzate furono usate al bordello. Molti si vergognavano di avere parentele di questo tipo: è un cambiamento che ha richiesto tempo.
La storia è piena di famiglie in cui alcuni membri non erano considerati “abbastanza bianchi”. Esistevano addirittura prove ridicole come il pencil test: chi veniva testato doveva infilare una matita tra i capelli; se la matita fosse scivolata, questo avrebbe dimostrato che la persona in questione aveva i capelli abbastanza lisci per essere considerato “bianco”. Divisioni di questo genere avvenivano in ogni famiglia; alcuni fratelli e sorelle erano troppo scuri, così venivano divisi e alcuni venivano dichiarati ufficialmente bianchi, e altri no”.
Inoltre, non dobbiamo dimenticare che Krotoa, oltre ad appartenere alla comunità Khoi e a svolgere mansioni servili in casa Van Riebeeck, era una prima di tutto una donna: “Nella cultura olandese, interpreti di sesso maschile occupano una posizione di rilievo rispetto alle donne. Ancora oggi, le donne sudafricane sono discriminate per tre motivi: razza, classe sociale e sesso. Inoltre non mancano storie di uomini che hanno lavorato come collaboratori domestici, ma viene percepito nell’immaginario collettivo come un “lavoro da donne”.
Al momento esistono leggi per tutelare i domestici, ma è una conquista recente. Tuttavia, non è che siano completamente impotenti: potrebbero comportarsi in modo sgradevole in casa o con i bambini per esempio; un rapporto così intimo, soprattutto tra donne, dev’essere piacevole, altrimenti diventa troppo spiacevole”.
E un’altra conquista recente è la riscoperta del ruolo di questa interprete: “Nel centro della capitale ci sono due statue, di Jan e Maria Van Riebeeck; penso sarebbe perfetto aggiungere in mezzo a loro una statua di Krotoa, che possa simboleggiare la sua posizione tra Olanda e comunità Khoi”.