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Chi vive e chi muore: la “commissione dio” e l’inventore olandese della dialisi.

CoverPic | Author: Grossw | Source: Wikipedia | License: CC 2.5

Tragica è la scelta del medico in condizioni emergenziali: scenario di guerra o pandemia in una qualsiasi nazione “sviluppata” conta relativamente. Chi vive e chi muore è deciso da parametri quantitativi ben precisi: “capitale umano” lo quantificano le assicurazioni. Uno schiacciamento economico della vita e della morte. 

Se i posti in terapia intensiva scarseggiano, si salva chi ha più probabilità di sopravvivenza e chi può avere più anni di vita salvata» (Siaarti – Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva). Al di là delle responsabilità politiche di taglio “selvaggio” dei costi e disinvestimento sulla sanità, la condotta di razionamento e l’allocazione di risorse sanitarie limitate per fronteggiare una situazione di emergenza nasconde una storia terribile ma affascinante. 

Una vicenda che ha a che fare con l’Olanda, almeno nelle sue premesse.

La rivoluzione di Belding Hibbard Scribner e la “commissione dio”

Negli anni’60 a Seattle il dottor Scribner, un pioniere nel campo dell’emodialisi, iniziò a filtrare e ripulire il sangue di alcuni pazienti. Una rivoluzione in campo medico capace di allungare la vita anche di dieci anni ai malati ma che non poteva essere usata per tutti.

Durante una conferenza nel 1964 in cui affrontava questioni tecniche ed etiche, il medico accennò a una commissione misteriosa. La vicenda fu raccontata dalla giornalista Shana Alexander con il più lungo reportage mai pubblicato su Life.

Nel 1962, infatti, negli Stati Uniti era stata nominata una commissione che decideva quali pazienti potevano ricevere cure e quindi sperare di sopravvivere e quali invece erano destinati a morire. Fu ribattezzata la “commissione dio”.

Come scrive Matteo Cresti, l’Admissions and Policy Committee dell’ Artificial Kidney Center allo Swedish Hospital di Seattle – composto da avvocato, un ministro, un banchiere, una casalinga, un funzionario del governo statale, un sindacalista e un chirurgo – aveva l’arduo compito di scegliere chi era idoneo per essere collegato due volte la settimana per dodici ore alla dialisi. I criteri? No ad anziani e bambini ed essere contribuenti nello Stato che finanziava quel progetto. Alla terza riunione i modi per selezionare i pazienti vennero canonizzati per divenire quelli ancora oggi in vigore, ossia “l’età, il genere, lo stato civile, il numero dei figli a carico, il reddito annuo, gli studi effettuati, l’occupazione, la storia personale e il potenziale futuro”.

Per la casalinga il chimico e il ragioniere erano da preferire perché avevano la migliore istruzione ma l’avvocato le ribatteva che grazie ai loro risparmi le rispettive famiglie non avrebbero patito la fame. Al chirurgo che perorava la causa di un imprenditore attivo in chiesa e padre di tre ragazzi, il chirurgo rispondeva che la fede in Dio gli avrebbe permesso anche di sopportare una dolorosa morte. Nasceva così anche la bioetica con criteri umanissimi di selezione.

Quel gran genio di Pim Kolff

Ciò che pochi conoscono, è il fatto che i dubbi della “commissione dio” e la rivoluzione del dottor Scribner sono in gran parte debitori del genio visionario di un medico olandese, Willem Johan Kolff, meglio conosciuto come Pim.

Proveniente da una nobile famiglia, Kolff nasceva a Leiden il 14 febbraio 1911, primo di cinque figli. Studiò medicina prima a Leiden e poi a Groningen. 

Nel 1940 organizzò la prima banca del sangue in Europa ma la sua fama è dovuta all’invenzione dell’emodialisi. Il giovane iniziò le prime ricerche sulla sostituzione artificiale della funzione renale quando incontrò un contadino di 22 anni che stava lentamente morendo per insufficienza renale.

Il primo prototipo di dializzatore di Kolff fu sviluppato nel 1943, costruito con lattine di succo d’arancia, ricambi d’auto usati, parti di una lavatrice e involucri di salsiccia. 

Durante la seconda guerra mondiale, Kolff si trovava a Kampen, dove era attivo nella resistenza contro l’occupazione tedesca. Qui cercò di dichiarare malate il maggior numero di persone o li costringe a simulare i sintomi della tubercolosi per evitare che finissero nei campi.

Nell’arco di due anni, Kolff tentò di curare 15 persone con il suo prototipo, ma morirono tutti. 

Soltanto nel 1945 il medico olandese riuscì a curare con successo la sua prima paziente colpita da insufficienza renale, una donna di 67 anni. Nel 1946 conseguì il dottorato all’Università di Groningen proprio sul suo argomento.

© KNAW (CC BY-SA 3.0 NL)

Quando la guerra finì, Kolff donò i suoi reni artificiali ad altri ospedali per diffondere la conoscenza della tecnologia. In Europa, il medico inviò delle macchine a Londra, Amsterdam e in Polonia. Un’altra macchina inviata al Dr. Isidore Snapper al Mount Sinai Hospital di New York City fu utilizzata per eseguire la prima dialisi umana negli Stati Uniti il 26 gennaio 1948 sotto la supervisione dei dottori Alfred P. Fishman e Irving Kroop.

Nel 1950 Kolff lasciò i Paesi Bassi per alla volta degli Stati Uniti. Alla Cleveland Clinic, fu coinvolto nello sviluppo di macchine per mantenere la funzione cardiaca e polmonare durante la chirurgia cardiaca. Kolff iniziò a produrre in serie il suo rene artificiale e nel 1967 fece parte dell’equipe che sviluppò il primo cuore artificiale, il primo dei quali fu impiantato nel 1982 ad un paziente che visse 4 mesi dopo l’operazione.

Kolff, membro corrispondente dell’Accademia Reale Olandese delle Arti e delle Scienze, si è spento l’11 febbraio del 2009.

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