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Chi paga i costi sociali del cibo economico e di bassa qualità?

Nel corso degli acquisti, spesso non si tiene conto dei “costi nascosti” che si riflettono sullo scontrino, dice RTBF: numerose associazioni ambientaliste vogliono sensibilizzare i clienti su questo tema: i “costi nascosti”, effetti dell’industria agroalimentare sulla salute e sull’ambiente.

Questi effetti includono deforestazione, cambiamenti climatici, malattie cardiovascolari, cancro, ecc. Tutto ciò è attribuibile al modello di produzione di un cibo “a buon mercato” che genera costi nascosti considerevoli. Secondo le Nazioni Unite, solo per l’assistenza sanitaria si parla di 1000 miliardi di dollari! E questo è un costo che anche i consumatori, sostengono. Ma come fermare questo ciclo? Alcune associazioni propongono delle soluzioni.

Una catena di discount in Belgio, Penny, ha temporaneamente aumentato il prezzo di nove prodotti freschi in oltre 2000 dei suoi negozi per evidenziare l’impatto di tali prodotti sul clima, il suolo, l’acqua e la salute dei consumatori. Alcuni supermercati stanno cercando di sensibilizzare i consumatori su questi temi. Tuttavia, c’è chi sostiene che si tratti di “greenwashing”, ossia di una campagna pubblicitaria più che di una reale presa di coscienza da parte dei distributori.

La vera questione, si chiede RTBF, è chi dovrebbe pagare per un miglioramento dell’alimentazione? Per alcune catene di distribuzione, come Penny, è chiaro che dovrebbero farlo i consumatori stessi. Tuttavia, alcune associazioni ritengono che questa non sia la soluzione giusta e che invece sia necessaria una regolamentazione statale per garantire un’offerta alimentare più sana e sostenibile, senza gravare eccessivamente sulle tasche.

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