CovrPic@ Laura Ponchel, Fossielvrij NL
di Miriam Viscusi
Le multinazionali del petrolio, sul piano dell’immagine, non stanno attraversando un bel periodo: tra procedimenti in tribunale e accuse di greenwashing, sono probabilmente le società più odiate al mondo. E l'”ondata verde” che si identifica con la nuova generazione di attivisti non fa che aumentare l’imbarazzo della loro posizione. Basti guardare il numero di associazioni, collettivi, comitati ed organizzazioni che hanno come missione il boicottaggio, lo smantellamento o addirittura l’acquisto di queste aziende (al fine di eliminarle), percepite da molti come l’impersonificazione del male.
Un terreno sul quale lo scontro di civiltà è più acceso, è quello dell’istruzione: molte associazioni accusano le multinazionali di aver tentato di “infiltrare” il settore educativo, con partnership con scuole e università, al fine di rendere più digeribili le loro attività. E in un certo senso, di lavorare su bambini e giovani per cercare di smorzare alle origini future proteste contro di loro. Su questo, ENI e Shell sembra proprio si muovano in sincronia.
Greenwashing in aula
Nonostante l’importanza per l’economia e per i posti di lavoro del settore energetico, è giusto ignorare le gravi accuse mosse? Il problema etico è enorme perché l’impatto ambientale negativo è difficile da negare e spesso, l’atteggiamento benevolo dei governi nei confronti di questi mastodonti, rischia di far finire in secondo piano un bene centrale come quello della salute.
“Il problema è che non si può trovare una soluzione ai cambiamenti climatici, senza modificare il modello produttivo” spiega Maura di A Sud, associazione italiana che si occupa di divulgazione e azionariato critico nei confronti di Eni. “Dopo tre anni di presenza critica all’interno dell’assemblea degli azionisti, abbiamo scritto un report in cui sveliamo il greenwashing di Eni”. L’associazione segue come un’ombra le attività della multinazionale italiana e ne ha documentato in maniera dettagliata le attività controverse.
“Il tentativo – continua A Sud – è di distogliere lo sguardo mediatico dalle ambiguità e dire: «sì, siamo un’azienda che inquina, ma facciamo anche azioni sociali». Abbiamo scritto il dossier per contrastare la comunicazione green. Purtroppo l’impresa di informare e sensibilizzare un pubblico ampio, si scontra con le volontà politiche, che preferiscono guardare al lato green di aziende nazionali e ospitarle nei media e nel settore pubblico”. Dall’Italia all’Olanda, lo scenario è lo stesso: “L’amicizia fra governo e Shell risale al periodo coloniale, quando la corona proteggeva gli interessi della compagnia petrolifere nelle Indie orientali. Ancora oggi gli interessi del governo e delle multinazionali sono incrociati e mutualmente reciproci. Così, da parte della politica, c’è una cecità verso le azioni del suo partner storico e privilegiato. In sostanza, è Shell a dettare le politiche sul clima nel Paese“, dice a 31mag Femke, una portavoce dell’organizzazione ambientalista Fossielvrij NL .
Per attivare l’opinione pubblica, l’ultima campagna degli attivisti prevedeva, infatti, un collegamento scenografico tra il quartier generale di Shell e il Ministero degli Affari economici. A simboleggiare i numerosi rapporti istituzionali tra governo e azienda.

Oltre alla politica, un accesso privilegiato è costituito dalla comunicazione pubblicitaria: “attraverso la reclame, Shell e altre multinazionali hanno l’opportunità di presentarsi come vogliono. Possono mostrare il lato green, la responsabilità sociale e nessuno le smentisce. L’azione pubblica si rivela, quindi, necessaria per offrire una contro narrazione e cambiare lo stato delle cose”.
Ogni anno, Fossielvrij contesta il festival per bambini Generation Discover, sponsorizzato da Shell. Ma non solo: un’altra campagna ha portato all’accusa della multinazionale per pubblicità ingannevole. “Parlavano del gas come alternativa sostenibile” ricorda l’associazione.
Il prossimo passo di Fossielvrij, è fare lobby con i partiti che concorreranno alle elezioni di marzo 2021, per far si che inseriscano una proposta di legge che vieti la pubblicità delle multinazionali inquinanti. “Vogliamo una legge che vieti le loro infiltrazioni in qualunque ambito della vita pubblica, sullo stile di quella che oggi si applica al tabacco. Il logo delle industrie di tabacco, per legge, non può trovarsi su locandine di eventi, istituzioni, luoghi pubblici e non può apparire nelle pubblicità. Questo non deve essere consentito nemmeno al fossile, ugualmente dannoso per l’umanità.”
La campagna è la prima di questo genere in Europa. Finora, un solo partito – BIJ1 – ha incluso la proposta di legge nel proprio programma. “Ma ci sono buone probabilità che altri, come D66 e Groenlinks, lo facciano”.
Knowledge is power: Shell nelle scuole e nelle università
La politica, è uno degli “ingressi privilegiati” per Shell ma non l’unico. “Ci sono anche le istituzioni culturali, l’accademia e le scuole. Sono i settori potenzialmente più critici. Shell vuole infiltrarsi in questi ambienti, perchè sono quelli che più di tutti potrebbero delegittimare le sue azioni”, ci spiega Vatan Hüzeir di Changerism e Fossielvrij. “I legami con l’academia sono intricati e ben nascosti. Spesso, ma non sempre, si tratta di rapporti finanziari.”
Alcuni attiviste e attivisti universitari hanno già creato campagne per sollecitare il loro ateneo a cessare l’utilizzo del fossile. Il caso di Maastricht è il più recente e rappresenta una piccola vittoria: dopo mesi di campagne, il presidente Martin Paul ha comunicato che il consiglio direttivo pubblicherà un documento per iniziare il disimpegno verso le industrie del fossile.
Ma il caso più clamoroso nei Paesi Bassi riguarda la School of Management di Rotterdam, come svela uno studio pubblicato nel 2017 proprio da Changerism.
“Tra Shell e la scuola di management di Rotterdam, esistono rapporti consolidati. Per fare un esempio, nel 1966, anno della fondazione della School of Management, Shell e altre compagnie petrolifere donarono l’equivalente di 1 milione di euro per far partire i corsi. Nel 1989, Shell contribuì ad acquistare l’arredamento per le aule, come ricorda una targa affissa tutt’oggi. Per un periodo, la compagnia e l’università, hanno anche condiviso un conto in banca. Tutto ciò accadeva all’inizio degli anni ’90: mentre a livello internazionale si discuteva Kyoto e si parlava di cambiamento climatico, Shell distoglieva l’attenzione in questo modo.”
“L’accordo più importante risale al 2012. Allora, Shell e la facoltà di economia dell’università di Rotterdam, firmarono un contratto di partnership. Nel documento si legge che: Shell può intervenire nei programmi di studio e influenzare i curriculum dei corsi in Business Administration. Nello stesso periodo, alcuni docenti scettici al contributo della multinazionale, furono allontanati dagli organi decisionali dell’ateneo”, dice Changerism. Il fatto che la partnership non sanciva finanziamenti, ma solo “l’intervento nei contenuti dei corsi”, dimostra il tentativo di influenzare la percezione degli studenti, sostiene l’associazione, riguardo all’impatto ambientale della multinazionale. “L’ateneo si rende complice di Shell, aiutando la compagnia ad aumentare l’efficienza, a migliorare il suo business e a diventare più smart. In cosa? Nell’inquinare il pianeta. Per l’università, in quanto istituzione pubblica con ruolo sociale, è una questione etica.”
La domanda non è come Shell si infiltri nelle università, ma perchè questo è reso possibile, si chiede ancora l’associazione: “Ci sono varie spiegazioni: in primo luogo, Shell ha bisogno di “know-how”, conoscenza, risorse intellettuali. Ha bisogno di studiosi disposti a fare ricerche per sostenere le sue tesi. Così, crea dei programmi accademici a proprio uso e consumo e mantiene il suo potere trasformandolo in conoscenza”
Non solo: Shell promuoverebbe Executive Programmes, offrirebbe borse di studio per partecipare a convegni, co-finanzierebbe i corsi e tenterebbe di co-optare le idee degli studenti. Sostiene la ricerca purchè sia su argomenti utili alla comunità imprenditoriale. “Un esempio? Un progetto che studiava i vantaggi del gas come alternativa al fossile. L’obiettivo era di far tacere la resistenza ai progetti di estrattivismo del gas”
Il secondo motivo è che tutte le università pubbliche in Olanda, negli ultimi anni, stanno subendo un taglio ai fondi. Hanno bisogno di attrarre finanziamenti dal settore privato e per Shell è l’occasione perfetta per insediarsi.
“Vanno tirati in ballo anche i ranking internazionali. “Con Changerism, abbiamo analizzato i criteri di queste valutazioni internazionali. Tra i principali ci sono: il reddito dei laureati in quell’ateneo, le opportunità di recruiting, il legame tra corsi offerti e mercato del lavoro. Questi tre elementi, rappresentano molteplici possibilità di ingresso alle multinazionali dell’energia”.
Lo studio di Changerism è arrivato in Parlamento nel 2019 e la RSM è stata obbligata a rendere pubbliche le sue collaborazioni. “Non ha interrotto i rapporti con le multinazionali, ma sapendo di essere sorvegliata, ha scelto nuove partneship con più accortezza“.
Il caso di Rotterdam ha dato il via a studentesse e studenti in tutto il Paese. L’ultima protesta è recente ed è avvenuta all’università di Wageningen:
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Un occhio al mondo accademico, ma il contro attivismo della multinazionale anglo-olandese è molto presente anche tra i più piccoli: “I millennial e la genZ, sono il target più importante e allo stesso tempo il più impegnativo per Shell. Deve convincerli che possono cambiare il mondo insieme e, davanti alle critiche, si raffigura come portatore di cambiamento e speranza. Tutti i messaggi pubblici di Shell, le sue iniziative e i suoi interventi, sono allegri e colorati. Shell vuole ottenere fiducia, influenzare in modo positivo l’opinione pubblica e mantenerla fedele al fossile. Ma questa è una bugia e bisogna svelarlo”, racconta FossielVrij.
A proposito dell’intervento nelle scuole, dice Femke, anche portavoce della campagna Education Free di Fossielvrij: “Shell si è introdotta nei programmi STEM [Science, Technology, Economics, Mathematics] delle scuole superiori, in alcune città olandesi. Durante le lezioni, ha proposto il gas come alternativa sostenibile. Lo fa continuamente nei concorsi, nei quiz, negli eventi per bambini. Propone le sue stesse soluzioni a un problema che contribuisce a creare.”

“La scuola del futuro” secondo Eni
Paese diverso, strategie simili. “A fronte dell’attenzione generata dalle accuse, è indubbio che Eni abbia investito negli ultimi anni in una strategia di risposta“, ci dice Pietro dell’associazione Scomodo, che ha studiato l’intervento di Eni in un caso specifico in Sicilia. Tra i piani di investimento per il sociale, il settore educativo si è mostrato terreno fertile.
A Gela, in provincia di Messina, gli anni del processo internazionale sono gli stessi in cui Eni prova a riconvertirsi, dopo la chiusura dello stabilimento. “Il tentativo di creare green jobs, si accompagna a protocolli di intesa con comune e regione. L’oggetto di questi accordi è anche la scuola”, continua Scomodo. “In quella zona Eni è tornata dopo aver chiuso nei primi anni ’90. Ha promesso migliaia di posti di lavoro con la bioraffineria, potendone effettivamente mantenere qualche centinaio. Così, in parte, ha provato a riparare con attività sulla scuola o nel sociale”.
“Eni non investe moltissimo nella scuola, ma abbastanza da cambiare la percezione nei suoi confronti da parte dei più giovani cittadini gelesi. Ad esempio con Eni Corporate University, il programma speciale per gli studenti, ha garantito 40 borse di studio per neo-diplomati (per corsi come biochimica o materie affini, spendibili nella sua azienda). Oppure, molti alunni delle superiori hanno svolto l’alternanza scuola lavoro nei vari dipartimenti del cane a sei zampe. Ma la tendenza a riconoscere in Eni un buon attore nei confronti della società, solo per l’offerta di ipad, borse di studio o potenziale impiego, è pericolosa: non possiamo dimenticare che stiamo vivendo una crisi ambientale, di cui anche Eni è responsabile.”
Gela è stato uno dei primi casi di riconversione, ma è possibile che la strategia della “scuola del futuro” sia replicabile altrove. “Eni, a Gela, gode di buona reputazione: un processo lontano come OPL245 non influisce sulla percezione dei giovani, perchè per loro Eni è l’azienda che ha riempito la scuola di tablet e ha migliorato l’e-learning”.
E anche nel resto d’Italia c’è ancora un forte attaccamento all’azienda. “Probabilmente, dato l’attaccamento al fondatore Mattei, in Italia nessuno “alza la voce” contro Eni. Difficile che si riesca a parlare di corruzione ambientale e land grabbing”.
Pubblicato da A Sud Onlus su Sabato 10 ottobre 2020