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Bufali d’acqua, cavalli ed elefanti: breve storia dei doni olandesi al Giappone

Pic credit: Kawahara Keiga, Pic Source: Wikimedia, License: Public Domain

Nel 1609 una delegazione della Compagnia olandese delle Indie orientali arrivò a Sunpu, nella prefettura di Shizuoka, in Giappone. La società, fondata ad Amsterdam sette anni prima e conosciuta con l’acronimo di VOC, era desiderosa di commerciare con il Giappone. In particolare, voleva ottenere l’accesso alle abbondanti riserve di argento dell’arcipelago asiatico.

Gli olandesi era giunti fin là per incontrare Tokugawa Ieyasu (1543 – 1616), il governatore del Paese. Nonostante i doni portati dalla VOC scarseggiassero –  due casse di seta, alcune di avorio e un paio di coppe d’oro acquistate in fretta e furia a Nagasaki- Ieyasu accettò di commerciare con loro. Quello che il governatore pensasse privatamente dei suoi regali non è stato registrato. Ufficialmente si dichiarò “molto soddisfatto”.

Gli olandesi furono fortunati: erano arrivati in Giappone in un momento in cui Ieyasu stava cercando attivamente di ricostruire la rete diplomatica del suo Paese, che era stata distrutta negli anni ’90 dalla sconsiderata decisione di Toyotomi Hideyoshi (1537-98) di invadere la Corea, non una, ma ben due volte.

Ma se al tempo aprire le porte al commercio era semplice, assicurarsi che questo rimanesse attivo nel tempo era tutt’altro affare. E per mantenere a lungo il controllo degli affari, gli olandesi avrebbero avuto bisogno di molto di più di qualche gingillo scintillante portato in dono.

The Dutch East India Company in Early Modern Japan

Michael Laver, professore di storia al Rochester Institute of Technology, spiega nella sua breve monografia The Dutch East India Company in Early Modern Japan che portare dei doni alle persone nel Giappone del tempo era “una necessità assoluta”. Questo gesto agiva come “un lubrificante sociale, che facilitava le relazioni interpersonali, per qualsiasi classe sociale”. Nel suo libro, Laver raccoglie le impressioni contenute nei diari personali dei capitani della VOC. Dettagli che rivelano i travagli di generazioni di commercianti che, per circa due secoli e mezzo, hanno lottato per saziare l’appetito dei funzionari giapponesi, donando loro occhiali, telescopi, libri, orologi e tanto altro.

Durante la maggior parte del 1600, il commercio con il Giappone era molto redditizio, per cui era perfettamente sensato soddisfare i capricci dei funzionari. Dopo il loro primo giro di doni poco brillanti, gli olandesi non si risparmiarono: un giorno gli spettatori di Dejima, un’isola artificiale nel porto di Nagasaki, dove nel 1641 fu ordinato alla VOC di trasferirsi, assistettero allo scarico di bufali d’acqua, cavalli arabi e persino elefanti.

La maggior parte di questi animali non erano mai stati avvistati in Giappone, destando così un notevole scalpore. Quando gli olandesi fecero sfilare due cammelli davanti al castello di Edo nel 1646, un osservatore scrisse più tardi che l’intero luogo “sembrava correre selvaggio”. Ma i partner nipponici sapevano anche essere molto esigenti: rifiutarono uno stallone persiano “perché era mezzo pollice troppo corto”. Quello che ignoravano i funzionari giapponesi era la complessità del commercio internazionale via mare, in un’epoca in cui ogni spedizione richiedeva almeno due anni e il trasporto marittimo era intrinsecamente rischioso.

La novità delle beni e delle nuove creature esotiche alla fine si è esaurita, ma finché è durata, ha aumentato notevolmente il prestigio degli olandesi.

The Dutch East India Company in Early Modern Japan spiega come gli olandesi siano stati in grado di assicurarsi un punto d’appoggio in Giappone per oltre 200 anni. Il libro di Laver non presenta uno studio completo delle attività olandesi nell’arcipelago. Si concentra piuttosto sulla tradizionale offerta di doni, come strumento per facilitare la diplomazia.

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