Dal momento che le persone devono mantenere una distanza di 1,5 metri tra loro, i quartieri a luci rosse in Belgio continuano a rimanere chiusi. UTSOPI, il sindacato belga per le sex workers, sconsiglia alle lavoratrici di continuare a lavorare in questo periodo. Tuttavia, alcune persone non hanno scelta. Poiché non ricevono sussidi governativi di alcun tipo, alcune sex workers si ritrovano a lavorare clandestinamente.
“Siamo in contatto con circa 100 lavoratrici del sesso,” spiega Daan Bauwens, di UTSOPI. “Da quello che mi è stato detto, hanno tutte smesso di lavorare per il momento.” Bauwens aggiunge che le sex workers che continuano a lavorare sono coloro che non hanno scelta.
Stando a Sigrid Schellen, una sex worker, la domanda per i servizi ha ripreso a crescere dopo un mese di serrata. “Il mio telefono di lavoro è spento, ma ricevo e-mail e messaggi sui social media ogni giorno. E ho anche notato che i clienti stanno diventando sempre più insistenti, ” racconta la donna. “Posso ben immaginare che le poche persone che continuano a lavorare al momento, si ritrovino con molti clienti.” Infine aggiunge che “comunque a livello generale non credo ci sia più tanto lavoro.”
“Le colleghe che conosco personalmente, sono tutti a casa ora,” dice Schellen. “Alcune di loro adesso lavorano grazie a webcam. E da quel che mi risulta, quel tipo di attività sta andando molto bene in questo momento.”
Bauwens sostiene che la crisi nata a causa del Coronavirus, ha fatto emergere molti problemi già esistenti nel settore. Tra questi, c’è la mancanza di un’unica giurisdizione belga per le lavoratrici del sesso. Per questo, mentre i disoccupati ora ricevono una compensazione statale, le lavoratrici del sesso non possono chiedere un risarcimento al governo.
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