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“Bali, Welcome to Paradise”. In mostra a Leida, il passato coloniale e la commercializzazione dell’isola

Il 26 maggio si chiude a Leida la più grande mostra su Bali, il suo passato coloniale e le attuali minacce ambientali.

I Paesi Bassi sono stretti a Bali da secoli di storia coloniale nell’arcipelago indonesiano.

“La nostra idea è che si visiti la mostra come turista e si esca da viaggiatore un po’ più esperto”, ha detto all’apertura Francine Brinkgreve, curatrice del Museeum Volkenkunde (Museo Nazionale di Etnologia). L’esposizione ambisce a sensibilizzare i visitatori “sull’altro lato della commercializzazione dei paradisi turistici utilizzando storie personali, oggetti contemporanei e storici, arte religiosa e quotidiana, foto e filmati.”

Il corridoio d’entrata della mostra è caratterizzato da schermate giganti con ritratta l’immagine stereotipata del “paradiso”: onde che si infrangono sulla riva di una spiaggia bianca, turisti ai templi e balinesi in vestiti tradizionali; al centro della stanza due lettini da spiaggia con ombrellone accolgono il visitatore.

“Le sale dedicate alla mostra sono impostate in modo tale che i visitatori entrino avendo in mente immagini ovvie di Bali e lentamente comprendono in modo più profondo l’isola e i suoi abitanti”, ha detto l’organizzatrice dell’esibizione, Anna Tiedink.

Kuta, Bali. Febbraio 2017

Una delle questioni immediatamente affrontate è la crescita esponenziale dei problemi ambientali: appena dietro un largo schermo con spiagge paradisiache, c’è un immagine del lungomare di Kuta, completamente ricoperto di plastica. Subito dopo, un altro schermo mostra il classico ingorgo del traffico urbano nell’isola.

Oltre alla montagna di rifiuti lasciata da milioni di turisti, l’artista e ambientalista Made Bayak propone una riflessione interna rispetto alla gestione locale dei rifiuti: Plasticology è un progetto che l’artista porta avanti, svolgendo anche workshop con giovani generazioni per creare consapevolezza sulla questione.

Made parla inoltre del problema acqua a Bali creato dalla sempre in crescita industria del turismo. “Quotidianamente un hotel a cinque stelle consuma più acqua di un intero villaggio”. L’agricoltura del paese, precedentemente fonte primaria per Bali, viene minacciata da tutto questo, in particolare dal fatto che i terreni coltivabili vengono venduti ad agenti immobiliari per trasformarli in resort o ville.

Accanto all’immagine di Kuta ricoperta dalla plastica, la mostra espone un video del Soul Surf Project, una delle numerosi organizzazioni ambientaliste attive a Bali. Questo progetto incoraggia i bambini ad affrontare il problema. “Durante le nostre visite a Bali, abbiamo capito che ci sono iniziative locali che provano a sistemare il problema”, continua Brinkgreve. La curatrice puntualizza che “Welcome to Paradise” è la prima esibizione su Bali che fornisce un contesto al problema ambientale. “Le mostre passate si concentravano maggiormente su arte, cultura, religione e riti.

Un video con I Dewa Ayu Evayanti, una ragazza 26enne che lavora in una villa, riassume quanto il turismo sia parte della vita di molti balinesi: “Vendo cartoline ai turisti da quando andavo alle elementari”. Quando il vulcano Mount Agung ha eruttato nel 2017, Ayu Evayanti ha detto che la villa è rimasta vuota per almeno un mese. “Senza turisti, saremmo tutti disoccupati” ha sottolineato.

Circa il 40% dei 14.4. milioni di turisti internazionali che l’Indonesia ha ospitato nel 2017, è stata in visita a Bali, la quale ricopre lo 0.2% del territorio del paese. Lo stesso anno, l’isola è stata visitata da 8.7 milioni di turisti locali. Il numero viene comparato alle centinaia di turisti che sono stati sull’isola durante gli anni in cui i Paesi Bassi l’avevano colonizzata durante il 1900. Il periodo di colonizzazione da parte degli olandesi è stato anche segnato dai puputani; famiglie reali e centinai di persone si suicidarono in massa piuttosto che arrendersi al nemico.

In una parete dell’esibizione si legge la citazione del pittore W.O.J. Nieuwenkamp, il quale si trovava a Bali nel 1906 per raccogliere manufatti poprio per il Volkenkunde Museum. Il suo testimone puputano di Badung spiega: “i soldati erano di fronte all’entrata del palazzo con i cannoni. Ogni volta un centinaio di balinesi passavano i cancelli, uomini, donne e bambini. Gli uomini accoltellavano le donne e i bambini, poi correvano verso le truppe offrendosi per essere fucilati.. Il re stesso, trasportato in una sedia a rotelle, vestito con ornamenti, si è fatto uccidere come gli altri.”

Testimone silenziosa di quella tragedia è una doppia porta intagliata di legno del palazzo Badung. Nieuwenkamp osserva che “i soldati olandesi volevano utilizzare le porte come ponti da mettere sopra le condutture dell’acqua a utilizzo dell’esercito; una delle poche cose a non essere state rubate, per il semplice fatto che erano troppo grandi e troppo pesanti”.

L’esibizione mostra come “ il governo coloniale abbia creato l’immagine dell’isola paradisiaca, in modo da far dimenticare ai Paesi Bassi e al resto del mondo le violenze di Bali. Da li a poco, prese il sopravvento l’industria del terzo settore. Le comunità artistiche locali ricevettero incentivi da un gruppo di pittori europei che hanno lavorato e si sono stabiliti a Bali, come Walter Spies, i cui lavori sono presenti nella mostra.

In un’intervista rilasciata al giornale Trouw, il professore di filosofia Jos de Mul sottolinea che “Spies insisteva affinché i pittori balinesi adattassero il formato dei loro dipinti alle misure delle valigie dei turisti”.

Le opere anonime dei giovani artisti sono esposte accanto ai più noti, come I Wayan Aris Sarmanta, Bali not for sale (Tangis Amarah Pulau Kecil), nelle quali si vedono il volto rosso dalla rabbia di un bambino con una corona a forma dell’isola con scritto nel petto “Sold Out”.

Nonostante l’intento di mostrare la parte nascosta di Bali, non vengono menzionate le uccisioni di massa dopo il fallito colpo di stato del 1965 da parte dei comunisti indonesiani, e gli attacchi terroristici del 2002 e del 2005 che hanno ucciso centinaia di turisti balinesi e stranieri. “Non c’era abbastanza spazio e abbiamo dovuto fare delle scelte”, risponde Brinkgreve in merito alla mancanza di queste tematiche.

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