Carlos ride mentre parla dei suoi lavori. Tutti i muscoli del volto sono solidali in una risata che stride con la maschera conservata nella teca al suo fianco.
La nascita di Amorales
Negli anni ’90, durante un soggiorno di studio alla Gerrit Rietveld Academie e alla Rijksakademie di Amsterdam, l’artista messicano decide di cambiare identità: da adesso in poi sarebbe stato per tutti Carlos Amorales, un’identità concettuale che “prestava” ad altre persone nell’ambito della sua indagine sulla funzione dell’arte nella vita quotidiana.
Ai vernissage delle sue mostre, confida compiaciuto l’artista, spesso mandava amici o sconosciuti completamente digiuni di arte. Il personaggio di Amorales è una figura mascherata ispirata ai lottatori messicani della Lucha Libre, un tipo di combattimento molto simile al wrestling, comprese simulazioni e finzioni varie. In uno dei video che aprono l’esposizione allo Stedelijk Museum di Amsterdam, la prima retrospettiva europea sull’artista, tutti sono “amorali”: i lottatori, gli arbitri, persino qualche spettatore. Inveire o insultare qualcuno che non è – e che forse potrebbe essere noi stessi – è anche più liberatorio che farlo con un altro che ha un volto.
La maschera, che di pancia ricorda l’inespressività attonita del protagonista Frank nell’omonimo film del 2014, è chiaramente una provocazione per riflettere sul rapporto tra identità, spersonalizzazione, anonimato. Amorales è ovviamente uno, nessuno, centomila. Negli anni ’90, quando internet faceva capolino nella quotidianità delle nostra vite, le questioni del doppio, dal doppelgänger agli avatar virtuali tornavano prepotentemente al centro dell’interesse di artisti e non solo. Niente di nuovo, penserà qualcuno.
Il merito maggiore di Amorales sta in altro.
Nel 2003, l’artista messicano ha invitato il pubblico in visita a realizzare stivali di pelle rossa per la lucha libre alla mostra We Are The World nel padiglione olandese della Biennale di Venezia, curata da Rein Wolfs, futuro direttore dello Stedelijk. A distanza di anni, Amorales ha rappresentato nuovamente il Messico alla 57a Biennale di Venezia del 2017 con Life in the Folds, un’installazione che fa parte anche della mostra allo Stedelijk Museum.
L’Archivio Liquido tra Warhol e Disney
Nel 2004 Carlos, stanco di una comunità di riferimento che non fosse quella rapsodica e (fintamente) partecipativa dei tanti progetti olandesi, ha lasciato Amsterdam per tornare a Città del Messico, dove ha inaugurato il suo studio. Ispirandosi alla produzione di massa dei media e alla distribuzione di immagini – e con evidenti riferimenti alla Factory di Warhol e al primo studio di animazione della Disney – Amorales e il suo team hanno creato una banca di immagini digitali intitolata Liquid Archive contenente migliaia di silhouette monocromatiche in formato vettoriale.
L’Archivio Liquido ha costituito la base per la ricca e sfaccettata mole di lavoro che Amorales ha costruito negli ultimi 15 anni. Il carattere essenzialmente open-source delle immagini che l’artista crea significa che possono emanciparsi dal mondo dell’arte e vagare in quello della moda, dei video musicali, dei tatuaggi e delle copertine dei dischi – attraverso le quali ritornano all’arte sotto forma di opere di altri artisti. Il laboratorio “amorale” è un cenno alla cultura pop e al nostro mondo neoliberale in cui, dice l’artista, “la catena di montaggio globalizzata ci ha preso la mano”.
Inaugurando la mostra allo Stedelijk, il curatore Martijn van Nieuwenhuyzen ricorda: “Seguo il lavoro di Carlos Amorales sin dagli anni della sua Amsterdam. Quando l’ho visitato a Città del Messico all’inizio dello scorso anno, sono rimasto ancora una volta colpito dalla sua attività poliedrica e dall’acuta intelligenza con cui riesce a percorrere quella sottile linea di confine tra riflessione estetica e socio-politica, mettendo in primo piano una moltitudine di argomenti, come i ruoli che gli artisti possono assumere all’interno e all’esterno del mondo dell’arte, l’esperienza di essere un estraneo in una cultura sconosciuta, l’infinita malleabilità del linguaggio e il flusso quasi assurdo di immagini che inondano Internet”.
Il rapporto tra la società e l’individuo è al centro di gran parte del lavoro di Amorales. L’artista ha anche un particolare interesse per le scelte che i suoi colleghi devono affrontare, sia nel contesto quotidiano delle realtà della vita in America Latina, sia in quello dell’arte delle sperimentazioni e delle avanguardie europee. Che cosa significa essere “socio-politicamente impegnati”? É possibile essere sperimentali mentre si vive in una dittatura, e quali potrebbero essere le conseguenze sociali delle proprie azioni? Quali sono gli strumenti a disposizione degli artisti che vogliono parlare di oppressione e violenza?
Dalle nuvole nere all’Orgia di Narciso
In modo diretto e obliquo, le installazioni, i video, i dipinti e le sculture di Amorales esplorano il campo di tensione tra le preoccupazioni individuali e i vincoli sociali. A volte è giocoso, come quando attira il visitatore ad attivare un monumentale installazione di piatti che possono essere suonati, ma poi ci sono le animazioni inizialmente incantevoli come The Cursed Village, in cui una scena pastorale degenera in un linciaggio, e l’installazione Black Cloud in cui sciami di farfalle nere circondano lo spettatore, rendendo tangibile la minaccia delle masse. Amorales cura ossessivamente i dettagli: le decine di migliaia di farfalle sulla parete, ci racconta, sono realizzate con un laser ma poi ognuna deve essere incollata manualmente. E anche se molto simile a tutte le altre esposte non sarà mai perfettamente uguale. Lo stesso vale per le miniature medievali alternate a insulti in inglese e spagnolo, l’alfabeto stilizzato o le figure mitologiche che affollano le pareti dell’ “Orgia di Narciso”.
Il mito di Narciso, quello di sedursi innamorato del proprio ego, per Amorales è un rischio ma anche una risorsa: è un vulcano di creatività che gli permette di partire da un’idea e poi tornarci attraverso altri rivoli. Un ego eccessivo, forse, con il quale gli Amorales hanno imparato a ridere di gusto.